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“La cantatrice calva”
di Eugène Ionesco

«A proposito, e la cantatrice calva?» «Si pettina sempre allo stesso modo!»

di Federica Imbriani / 3 aprile

La cantatrice calva è un esempio di quanto, a volte, la realtà possa essere più irreale della fantasia. Si vuole, infatti, che l’autore ebbe l’idea mentre svolgeva alcuni esercizi di inglese e che, di fronte alla banalità delle frasi che ricopiava per esercitarsi, trasse ispirazione per quest’opera sulla convenzionalità e l’insignificanza.

L’anticommedia di Eugène Ionesco, la prima opera teatrale dell’autore rumeno, francese di adozione, e primo esempio di teatro dell’assurdo, ha debuttato nel 1950 al Théâtre des Noctambules riscuotendo un generale insuccesso di pubblico, solo per affermarsi, cinque anni dopo come un enorme successo tanto da venire ancora rappresentata, dal 1957, al teatro de la Huchette a Parigi.

In scena troviamo due coppie inglesi benestanti e borghesi, gli Smith e i Martin, accompagnati e interrotti dalle intemperanze della domestica della prima coppia e dalla visita del capitano dei pompieri. Nello svolgersi dell’azione, il dialogo è costante, quasi serrato, ma completamente sterile, incomprensibile, vieppiù degradato, fino a una situazione paradossale in cui i protagonisti si esprimono solo tramite parole assonanti e versi.

Gli Smith e i Martin, la domestica e il capitano dei pompieri sono parodie di personaggi, insensati quanto i discorsi che fanno. Vuoti, trasparenti, sono figurine che si tengono in piedi solo grazie alle convenzioni sociali e alle formalità. Spettegolano di persone tutte uguali, tanto da avere tutte lo stesso nome, impazziscono di rabbia pur di deformare manicheamente la realtà, si riconoscono gli uni con gli altri solo in ragione delle funzioni che svolgono. Del resto l’intera opera, rispettosa dei canoni, non è che una parodia del teatro tradizionale: snatura la funzione del colpo di scena, svuota la rappresentazione di qualunque tipo di azione e inganna il pubblico con allusioni a personaggi e significati che non esistono.

Nella messa in scena di Massimo Castri in scena al Teatro Vascello di Roma fino al 4 aprile, l’assurdità è mitigata dalla scelta di conferire al dialogo un sottotesto denso e ricco di emozione, di puntare sull’espressività degli attori che, in progressione antinomica con lo screpolarsi dei dialoghi, perdono le connotazioni fisse che gli sono attribuite nelle prime scene e riescono a modulare con i soli toni vocali un acceso dibattito. Forse questo ritorno al comprensibile rappresenta l’unico difetto di questa Cantatrice calva. Il pubblico si diverte, ride per la mimica eccellente dell’ottimo Mauro Malinverno e per le dirompenti performance vocali della bravissima Valentina Banci, ma rimane un po’ orfano di quel senso di straniamento che lo aiuterebbe a declinare il testo di Ionesco in una prospettiva contemporanea.

La cantatrice calva

di Eugène Ionesco
regia Massimo Castri
in collaborazione con Marco Plini
assistente alla regia Thea Dellavalle
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio, Francesco Borchi

Roma – Teatro Vascello dal 31 marzo al 4 aprile 2015

 

LA CRITICA - VOTO 7/10

Primo esempio di teatro dell’assurdo, La cantatrice calva rappresenta una parodia del teatro tradizionale e una parossistica rappresentazione della pochezza dell’essere umano. L’interpretazione di Castri si avvale di un cast eccellente nel conferire spessore al testo, ma sconta, proprio in questa eccellenza, la perdita dell’atteso e disorientante straniamento del non senso.