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Cinema

“Alaska” di Claudio Cupellini

Un amore difficile e invincibile

di Francesco Vannutelli / 23 ottobre

Nel 2010 Claudio Cupellini si era presentato alla Festa del Cinema di Roma con Una vita tranquilla, noir psicologico che segnava il suo passaggio dalla commedia più leggera (aveva esordito nel 2007 con Lezioni di cioccolato, in precedenza aveva diretto un episodio dell’ottimo film collettivo 4-4-2 Il gioco più bello del mondo) a un cinema di maggior impegno e introspezione. C’era molta attesa, quindi, ed era lecito, per questo Alaska che segna il suo ritorno all’Auditorium e sul grande schermo dopo cinque anni.

Fausto lavora come cameriere in un grande albergo di Parigi. Il suo sogno è di diventare maitre e aprire un giorno un suo ristorante. Mentre è sul tetto dell’albergo a fumarsi una sigaretta conosce Nadine, una ragazza finita a fare un provino da modella quasi per caso. Tra i due nasce subito un’attrazione forte che preannuncia l’amore, solo che a strettissimo giro Fausto finisce in prigione. Nadine sembra dimenticarlo ma in realtà lo aspetta per due anni e tutto sembra pronto per una vita insieme, che non sarà semplice, sarà piena di ostacoli, incidenti e violenza, attraverso cinque anni difficile che riporteranno i due ragazzi a quell’incontro iniziale e alla sua purezza.

Dopo Toni Servillo, Cupellini si affida a un altro dei migliori attori italiani viventi scaricando sulle spalle di Elio Germano il compito non semplice di tenere una storia che si sviluppa per un arco di tempo (eccessivamente) lungo, che porta i protagonisti su e giù per una serie di scale, da quella sociale a quella dell’equilibrio psicologico, che carica con ogni tipo di tragedie e drammi le vite potenzialmente semplici. Germano come sempre dimostra tutto il suo valore di cui diventa quasi ridondante parlare. Se dici Elio Germano, ormai, dici ottima interpretazione. E accanto a lui, Àstrid Bergès-Frisbey, modella e attrice di origine franco-spagnola, è brava a reggere il livello del suo partner.

Cupellini, dopo la parentesi televisiva con Gomorra, conferma il suo talento registico e la sua capacità di mostrare solitudini e misteri. Fausto e Nadine si prendono subito perché sono soli al mondo, non hanno nient’altro che il desiderio di avere qualcuno a spingerli oltre. Quel qualcuno lo incontrano per caso sul tetto di un albergo, e non sono pronti a lasciarlo andare via mai, anche quando sembra impossibile tornare ad avvicinarsi. Perché c’è sempre la speranza e il bisogno che tornano a spingere i due uno verso l’altro, che li fanno scontrare, che li mettono in pericolo. Schiacciati dai sogni di Fausto, che non è mai in grado di accontentarsi di quello che è e cerca sempre un di più, una vita migliore, un luogo in cui trovare riparo, che siano le braccia di Nadine, che sia l’Alaska (non lo stato unito, ma un locale di Milano di cui diventa socio) o un altro grande albergo, non sono in grado di trovare una felicità che duri per sempre.

Che cos’ha che non va Alaska, quindi? Ha troppo. Troppi minuti di durata, un arco temporale troppo lungo da seguire, un susseguirsi eccessivo si catastrofi da superare, una serie non meglio precisata di ambizioni a cui resistere. Esattamente come Fausto che non è in grado di accontentarsi di quello che ha, il film di Cupellini si trascina alla ricerca di qualcosa che neanche il regista e gli sceneggiatori (Filippo Gravino e Guido Iuculano) sanno bene cosa sia e finiscono per disperdere tutto quello che di buono e di bello era stato costruito in precedenza. Come per i due protagonisti, Alaska non riesce a mantenere per tutti i cinque anni la forza di quel primo incontro. Il messaggio è che un amore simile è in grado di resistere a tutto quello che gli può succedere. La verità è che per un film tutti questi eccessi non sono altro che un peso.

(Alaska, di Claudio Cupellini, 2015, drammatico, 125’)

LA CRITICA - VOTO 5/10

Sviluppato attraverso un arco narrativo troppo lungo, Alaska non riesce a mantenere lo slancio che spinge il suo avvio nonostante le premesse che lasciavano sperare in uno sviluppo più pieno e coerente. Non basta Elio Germano, questa volta, a fare la differenza.