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Cinema

“Revenant – Redivivo”
di Alejando González Iñárritu

di Francesco Vannutelli / 19 gennaio

Finalmente dovremmo esserci. L’anno del primo, attesissimo incontro tra Leonardo Di Caprio e il premio Oscar sembra essere arrivato. Dopo anni di attesa, di prese in giro, di delusioni, di candidature andate a vuoto (quattro) o mai arrivate, Revenant – Redivivo dovrebbe portare la statuetta tra le mani di Di Caprio. Anche perché il nuovo film di Alejando González Iñárritu è tra i grandi favoriti per la cerimonia del prossimo 28 febbraio, con ben dodici nomination e una quantità di premi già vinti tra Golden Globes, Critic’s Choice e altri.

Se è vero che all’Academy piacciono le prove estreme, Di Caprio non poteva certo offrire nulla di più per convincerli. Nell’inverno del 1823, dalle parti del fiume Missouri, un gruppo di uomini guidati dal Capitano Henry esplora i boschi alla ricerca di pelli di alce da portare sul mercato. A guidarli è Hugh Glass, un esploratore vedovo di una donna indiana e padre di un ragazzo meticcio. Durante l’attacco di un gruppo di nativi il gruppo viene decimato ed è costretto ad abbandonare il suo battello. Mentre apre la strada ai sopravvissuti, Glass viene aggredito da un grizzly e ridotto in fin di vita. Immobile su una barella, assiste alla morte del figlio Hawk per mano di Fitzgerald, un mercenario senza scrupoli. Il desiderio di vendetta diventerà la forza in grado di rimetterlo in piedi e di farlo sopravvivere nei boschi da solo, sulle tracce dell’assassino.

Tutta la lavorazione di Revenant – Redivivo è stata piuttosto complessa. Iñárritu, con il suo fedelissimo direttore della fotografia Emanuel Lubezki (terzo Oscar in tre anni, dopo Gravity Birdman, praticamente certo), ha deciso di girare tutto in esterni, usando solo la luce naturale, d’inverno. Il che ha voluto dire poche ore di lavoro al giorno, per molti giorni, con orari di riprese sempre vicini all’alba o al tramonto e temperature che sono arrivate fino a – 40 gradi. Non è mancato il nervosismo, sul set, in particolare si dice che Iñárritu sia finito a fare a botte con qualche membro del cast, stravolto dalla fatica. A subire più di tutti, però, è stato Leonardo Di Caprio. Per reggere gran parte del film con solo la recitazione del corpo, senza dialoghi, senza altri attori vicini, il protagonista di Titanic si è immerso più di chiunque altro nella natura selvaggia e ha accettato tutto quello che il regista gli proponeva. Anzi, pare che sia stato lui a chiedere ancora di più, per avere maggiore realismo, come quando ha fatto sostituire un finto fegato di bisonte con uno vero, per poi mangiarselo (ma si è anche sottoposto a ore di trucco ogni giorno, e ha rischiato l’ipotermia più volte). Si è detto che l’Academy ama le interpretazioni estreme. Probabilmente è difficile trovare qualcosa di più estremo di Hugh Glass nella storia del cinema statunitense.

L’ostinata lotta per sopravvivere di Glass per celebrare una vita perduta, senza badare alla propria, si contrappone a un’ostinazione opposta, quella di Fitzgerald (uno straordinario Tom Hardy), che per la propria vita è pronto a violare ogni legge.

Di Caprio è diventato la carne viva di un progetto ambizioso e rischioso con cui Iñárritu ha voluto dimostrare ancora di più il suo valore di autore, a un anno di distanza dal trionfo di Birdman. Della storia vera di Hugh Glass è rimasto poco rispetto al libro di Michael Punke (pubblicato da Einaudi) che ha raccolto tutte le leggende che sono circolate nei secoli sull’esploratore realmente vissuto. Il regista messicano, di nuovo anche alla sceneggiatura (candidata all’Oscar) insieme a Mark L. Smith, ha aggiunto tutto quello che serviva per avvicinare questa storia di sopravvivenza estrema al suo cinema. Il vero Glass sopravvisse nei boschi e percorse trecento chilometri a piedi per recuperare il suo fucile e vendicarsi dei compagni che lo avevano abbandonato. Il Glass di Di Caprio trova la sua sola ragione di sopravvivenza nella vendetta per l’omicidio di un figlio che nella storia vera non esisteva.

Ancora una volta, è il rapporto padre-figlio a essere centrale nel cinema di Alejando González Iñárritu. Dopo la trilogia della morte, sceneggiata da Guillermo Arriaga, composta da Amores Perros21 grammi Babel, il cinema successivo del regista messicano si è concentrato su storie di padri e figli, sui loro rapporti difficili, sui loro sacrifici. Biutiful aveva al centro proprio la paura di un padre per il futuro dei figli senza di lui, ed è il film in cui Iñárritu ha denunciato con maggiore evidenza questo suo bisogno di indagare la figura paterna, con la dedica alla sua «vecchia quercia», il padre, che sostituisce la dedica ai figli, «le luci più luminose nella notte più nera», che chiudeva Babel

Anche il geniale Birdman, in fondo, è tutto quanto incentrato sul rapporto tra un padre – Michael Keaton – e una figlia – Emma Stone –, e Revenant – Redivivo continua sullo stesso tema, aprendosi anche a una dimensione naturalistica che sembra evidente debitrice del cinema di Terrence Malick. Le foreste in cui si muove Glass dominano l’uomo, che è piccolo e insignificante di fronte all’immensità crudele degli alberi e dei fiumi e della neve. Dio può apparire da un momento all’altro, anche sotto forma di scoiattolo, e a quel punto lo devi prendere e mangiare. Il malinteso concetto di civiltà che è proprio dei cacciatori di pelli, così come dei francesi che gliele contendono, ha allontanato gli uomini dalla natura per vedere solo quello che è utile, non più necessario.

Perduto nel freddo di una natura senza confini, Iñárritu approfondisce quel messaggio trascendente sul senso della vita dell’uomo che è da sempre al centro del suo cinema. Con una trama ridotta all’essenziale, in Revenant è libero di lasciar parlare a piena voce l’immagine sontuosa e spietata, la virtù registica che si scatena in forma assoluta nei primi, meravigliosi, piani sequenza. È alle immagini che è affidato il compito della parola. Sono le immagini che più di ogni cosa rimangono nello spettatore.

(Revenant – Redivivo, di Alejando González Iñárritu, 2015, avventura, 156’)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Un’avventura produttiva estrema porta il regista premio Oscar Alejandro González Iñárritu a indagare il senso dell’uomo e del rapporto padre-figlio nell’immensità di una natura ostile. Leonardo Di Caprio, nella sua interpretazione più estrema, sembra pronto a ottenere quella statuetta che ha sempre visto da troppo lontano.