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Libri

“Sembrava una felicità”
di Jenny Offill

Sullo scaffale, tra Gogol’ e i racconti di Grace Paley

di Carlotta Colarieti / 12 febbraio

Sembrava una felicità di Jenny Offill (NN Editore, 2015) è la storia di una donna che ha promesso a se stessa di non innamorarsi mai, per concentrarsi meglio sul suo obiettivo di diventare un «mostro sacro della letteratura».

Ma poi invece accade che questa donna si innamori e abbia una figlia e che il suo sogno letterario appassisca tra le mura di casa, sepolto da una nuova – e tradita – promessa di apparente felicità.

Se il libro della Offill si fermasse qui lo si potrebbe collocare, sullo scaffale, tra il manuale di autostima per casalinghe laureate e il romanzo (tragico) rosa; lo si potrebbe credere un libro adatto a curare la crisi di mezza età e a raccontare lo sfacelo interiore di chi si ritrova a vivere, contro ogni pronostico giovanile, imprigionato nelle convenzioni sociali a cui aveva giurato guerra e a cui, invece, ha deciso di affidare la propria speranza.

Invece questo piccolo romanzo, poco più di 150 pagine divise in brevi paragrafi intervallati da spazi bianchi, ha qualcosa in più. Una forza che sembra avere a che fare con l’assenza e con la mirata cesura degli aspetti centrali della trama, che la Offill decide di nascondere al lettore. Ciò che sorprende è il dialogo telepatico che l’autrice riesce a stabilire tra sé, gli eventi della trama e il lettore, nonostante il suo romanzo si presenti come un corpo estraneo alle forme narrative tradizionali.

Le citazioni scientifiche e filosofiche insieme ai ricordi e ai piccoli aneddoti si succedono a profusione in un ordine apparentemente casuale, anche se è facile presumere che la Offill, insegnante di Scrittura alla Columbia University, alla Queens University e al Brooklyn College, disponga questi elementi con la logica programmatica dell’architetto. È proprio grazie a questo equilibrato regime di sottrazioni e concessioni che l’autrice costruisce l’intreccio delle vicende della protagonista: una storia non dichiarata ma desumibile a partire da una lettura scomposta, dove i buchi narrativi e le mancanze descrivono la vera traiettoria psicologica dei personaggi.

Spetta al lettore capire. Quello della Offill non è un romanzo epistolare, né si potrebbe descrivere il suo impianto come diaristico, verrebbe più che altro da definirlo un invito all’indagine semantica, a metà tra la lettura e la scrittura: per entrare nella storia, chi legge è chiamato a riempire, a ripercorrere – e dunque a scrivere mentalmente – i buchi narrativi di cui è fatto Sembrava una felicità.

Per questo, nello scaffale, la giusta posizione per il libro di Jenny Offill è tra Il cappotto di Gogol’ di cui recupera una ferma convinzione (la sofferenza, persino quella più grande, può consumarsi anche nello scenario banale delle cose comuni) e i racconti di Grace Paley che, come disse Philip Roth, possiedono «an understanding of loneliness, lust, selfishness, and fatigue that is splendidly comic and unladylike», tutte cose che sembrano parlare anche di lei e della sua scrittura.

 

(Jenny Offill, Sembrava una felicità, trad. di Francesca Novajra, NN Editore, pp. 168, euro 16)

 

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LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Un libro per chi si sente pronto a un romanzo dalle fattezze inedite e per chi, come recita la quarta di copertina «non dorme la notte, per chi legge Il libro dell’inquietudine di Pessoa, per chi si deve comprare un paio di occhiali nuovi e sa già che li prenderà fuori moda».