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Musica

“Backstreet’s Back” dei Backstreet Boys

Nascita, successo e morte (?) di un mito

di Tommaso Di Felice / 13 aprile

Gli anni Novanta sono stati, per eccellenza, gli anni delle boy band. L’ultima decade del secolo ha visto infatti l’esplosione di gruppi musicali maschili composti a tavolino dai produttori delle maggiori case discografiche americane, adolescenti dati in pasto a folle oceaniche di ragazzine urlanti e disposte a tutto pur di vedere o toccare i loro beniamini. Boyzone, Five, Westlife,Take That e NSYNC sono solamente alcune tra i gruppi di maggiore successo di quegli anni. Le caratteristiche erano sempre lo stesse, piuttosto scontate ma efficaci: ragazzi fotogenici, vestiti alla moda, voci discutibili e coretti a tratti patetici, ma coreografie e balletti impeccabili. A livello di immagine, rappresentavano il meglio che ci si potesse aspettare perché erano perfetti e le riviste di moda dello star system se li contendevano. Facevano girare milioni di dollari. Il decennio delle Nike, di Michael Jordan, dei fast food, del rap in ascesa, del Tamagotchi, dello scandaloso Sexgate clintoniano, di Tangentopoli e dei villaggi turistici, l’illusione della ricchezza e la celebrazione del divertimento a tutti i costi. Gli anni Novanta, lo spartiacque tra il Martini e l’11 Settembre.

Tra tutte le boy band di quel periodo ce n’è una in particolare che nessuno è riuscito a dimenticare, la più famosa, quella che ebbe maggior successo e che nell’immaginario collettivo rimarrà La Boy Band: i Backstreet Boys. Ufficialmente il gruppo nasce nel 1993, dopo mesi e mesi di audizioni gestite dal manager–macchina da soldi Lou Pearlman. Ed eccoli lì, belli, giovani e sfrontati. Nick, Howie D, Brian, AJ e Kevin senza saperlo segnarono un’epoca: tutte le ragazzine e le adolescenti di mezzo mondo avevano il loro poster in cameretta, i loro cd e le loro magliette, il kit completo della fan sfegatata. Me le ricordo ancora le mie compagne di scuole alle elementari: Patrizia, Vanessa, Anna e tutte le altre impazzivano per i Backstreet Boys e a noi, poveri maschi, non restava che tentare di imitarli nell’abbigliamento quanto nel taglio di capelli, senza successo. In particolar modo Nick e Brian erano considerati i più fighi. Sopratutto il primo, forte del suo caschetto biondo e degli occhioni azzurri, se la giocava con il DiCaprio di Titanic (1997) per il primato di sex-symbol internazionale. Howie D e AJ erano quelli un po’ sfigati mentre Kevin faceva breccia nel cuore delle più grandi. Un mix esplosivo di musica e immagine al pari delle Spice Girls, ragazze inglesi molto pepate che arriveranno qualche anno dopo.

Accantonando i ricordi personali, i BSB nel 1996 pubblicarono l’omonimo Backstreet Boys, album d’esordio destinato a lanciarli nell’Olimpo della musica pop internazionale. Non credo che il romanticismo forzato, le camicie sbottonate e i capelli ossigenati del video di “Quit Playing Games (With My Heart)” abbiano bisogno di troppe presentazioni: più che altro, fa ancora molto ridere la versione italiana di questo pezzo registrata dalla band, “Non puoi lasciarmi così”, appositamente per le nostre connazionali. A distanza di vent’anni, si può tranquillamente dire che a livello qualitativo c’era davvero poco: la produzione aveva un target e lo centrò perfettamente, un pop denso di amore e relazioni fugaci, in qualche caso pietoso ma sempre accattivante. Il disco fu subito un trionfo in Europa: in particolare i tedeschi apprezzarono davvero molto il lavoro della band americana, mentre negli Usa non raggiunse lo stesso successo immediato.

Il 1997 rappresentò l’anno di svolta, il successo mondiale. Backstreet’s Back, a differenza del disco d’esordio e con qualche eccezione, possiamo considerarlo un buon lavoro sotto diversi punti di vista. Due brani in particolare resero l’album qualcosa di incredibile a livello mediatico: l’indimenticabile “Everybody (Backstreet’s Back)” e “As Long As You Love Me”. Il primo deve il suo successo tanto al ritmo accattivante della canzone (lo «yeaaaaaah» infinito è rimasto nella storia) quanto alle perfette coreografie e ambientazioni in stile “Thriller” del video. Allo stesso modo, il secondo brano trionfa grazie al pop sdolcinato: ancora una volta un concentrato di balletti e pseudo casting rivestono un ruolo importante nel risultato finale. Un ritornello diretto, semplice ed efficace, che va dritto al sodo: «I don’t care who you are / where you’re from / what you did / As long as you love me». “All I Have To Give” non cambia e conferma la stessa formula strappalacrime, esasperata in “10000 Promises” («Once we were lovers / just lovers we were»). Il resto dell’album fa da contorno, tra pop, rap e funk, davvero poca cosa in confronto ai primi tre singoli. Al massimo possiamo salvare “That’s The Way She Said” e “If I Don’t Have You”, ma facciamo fatica anche dopo venti anni perché sostanzialmente la musica rimane quella. «Love», «I miss you», «Please come back», e ancora «I love you», ammiccamenti vari e riproviamoci ti prego perché ho bisogno di te. Però con Backstreet’s Back i BSB si affermarono come i cinque re del pop mondiale, asfaltarono gli avversari senza pietà perché erano destinati ad avere successo, un prodotto perfetto pensato solo per quel fine.

A questo punto, i Backstreet Boys inizieranno un tour mondiale che li porterà a toccare praticamente tutti i punti del pianeta, incassando milioni di dollari e tutti i premi della critica. Un successo davvero inaspettato se pensiamo solo un attimo a come era iniziata, a come l’Europa si fosse accorta di loro prima degli Usa. Nemmeno due anni dopo uscirà Millenium, la consacrazione definitiva ma anche l’inizio della fine della boyband. “I Want It That Way”, “Larger Than Life” e “Show Me The Meaning Of Being Lonely”, non c’è davvero bisogno di aggiungere altro. Poco interessante invece Black & Blue del 2000, ad eccezione di “Shape Of My Heart”.

Al pari delle Spice Girls, i Backstreet Boys segnarono indubbiamente un’epoca. Non si può dire il contrario: 140 milioni di dischi venduti, dischi d’oro e di platino ovunque, concerti sold–out in poche ore. Un autentico delirio collettivo, frutto del successo dei primi due dischi e di un maniacale lavoro a livello di immagine. I produttori ci avevano visto lungo, anche se poco dopo le dipendenze di AJ, i problemi con i discografici e la volontà di intraprendere carriere da solisti rovineranno la band. Ufficialmente i BSB non si sono mai sciolti ed è della scorsa settimana la notizia che stanno nuovamente lavorando all’ennesimo album. A venti anni di distanza dal loro esordio, ci saranno ancora persone disposte ad aspettarli?