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Musica

“Away” Degli Okkervil River

La pastorale indie-folk della band di Austin

di Giada Ferraglioni / 3 ottobre

“Lontano” e “altrove” è la direzione verso cui punta come una freccia sioux l’ultimo lavoro degli Okkervil River, Away. La copertina è una dolce promessa: Away sono gli uccelli che migrano, il fiume che scorre lungo le terre dei grandi laghi e delle grandi pianure che si trapuntano di bianco. Away sono gli ultimi residui dell’autunno del foliage spogliato dai venti e raccontato dall’incredibile capacità narrativa di Will Sheff, un artista dalla sensibilità linguistica rara, rubato alla letteratura e donato (fortunatamente) alla musica indie–rock/folk.

Away è anche un disco creativamente scoordinato, di attimi di ispirazione appuntati su un fazzoletto più che di strutturalità sistematica. Ed è anche e soprattutto questa la sua bellezza: siamo davanti alla nostalgia confusa di fasi storiche e ambientazioni diverse tra loro, un cammino non ben definito che, se da un lato annuncia una chiusura con qualcosa (intento piuttosto chiaro nel bellissimo requiem iniziale “Okkervil River R.I.P.”), dall’altro continua a portare con sé tutte le sfumature delle note folkways statunitensi, rivisitate – certamente e ovviamente – nella chiave indiefolk del cantautorato moderno.

L’album si apre con la già citata “Okkervil River R.I.P”, morbida e melodica canzone acustica, che incarna il riuscitissimo inizio del rivolo, il lento flusso di un’acqua che incontra inevitabilmente elementi sempre diversi con i quali fare i conti. Il pianoforte, essenziale, e la batteria, d’aiuto, tentano di districarsi in questa dialettica tra quello che c’era e quello che c’è, combattendo ancora una volta l’eterna lotta costitutiva di qualsiasi artista americano, quella tra tradizione e rivoluzione.

Gli strumenti a fiato e gli archi in “Call Yourself Renee”, splendida seconda traccia del disco, sono l’anima dell’intero ultimo lavoro degli Okkervil River, intimamente proiettati verso un viaggio en plein air lungo l’invernale pastorale americana; un’esperienza di reale portata pittorica (e spirituale – come il diktat artistico non può che, giustamente, imporre) attraverso le sperdute lande di confine.

Ma Away non è solo l’uomo davanti alla Natura. In “The Industry” il fiume ci trascina piano in una strana e inaspettata atmosfera anni ottanta, appena sporcata di malinconia nel testo, deviando per quattro minuti e mezzo verso orizzonti distanti dall’architettura emotiva dell’album, e ricalcando un mood decisamente più urban – che lascia comunque il tempo che trova: «I never thought I’d feel like that again / Just let go».

Una fuga dalle atmosfere agresti (riproposta poco dopo in “Judey On A Street”, quasi a simboleggiare una paura à la page tutta commerciale di immergersi troppo in un clima di puro (indie)folk – mancanti già, tra l’altro, di una finestra aperta sulla scena dell’elettro–tutto), un trucchetto divertente rinnegato subito in “Comes Indiana Through the Smoke” e nelle sue squillanti e oniriche note d’ingresso. Nel pezzo, di una bellezza evocativa quasi disarmante, la voce anacronistica di Sheff è ammorbidita dalle armonie femminili sullo sfondo, e il fumo ruvido dei tabacchi del Sud si trasforma negli incensi dei cheyenne delle terre al confine con il Canada, scivolando ancora senza fatica nei ruscelli gelidi tra le nevi del Nord, i lupi e gli alberi sempreverdi.

Gli Okkervil River sono riusciti nell’impresa di scovare una linea melodica e narrativa che non ricalcasse semplicemente un certo filone già – ampiamente – battuto. Away trova meritatamente un suo posto all’interno della scena indie/rock/folk dai rimandi rurali. Tra le svariate novità dell’autunno, Away è sicuramente una perla da non lasciar passare inosservata. Anzi.

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Non c’è molto da dire quando intuizione musicale e narrativa riescono a unirsi così bene. Peccato solo per qualche traccia fuori contesto che rende l’album meno “puro” di quanto avrebbe potuto, ma il risultato d’insieme è comunque di estrema godibilità. E allora bene così.