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Cinema

[RFF11] “Snowden”
di Oliver Stone

Il più politico dei registi USA

di Francesco Vannutelli / 15 ottobre

Il più politico dei registi statunitensi alle prese con uno dei temi più controversi della politica contemporanea. Oliver Stone racconta la vita di Snowden, il programmatore informatico che nel 2013 rivelò a un gruppo di giornalisti come il governo degli Stati Uniti fosse in grado di monitorare in tempo reale ogni scambio di informazioni, ogni dialogo a mezzo telefono o computer che avviene nel mondo.

Una scelta sofferta, quella di Snowden di arrivare a denunciare tutto. Ha messo a rischio la sua vita, quella della sua ragazza e la sua tranquillità di programmatore strapagato alle Hawaii. Eppure ha sempre pensato fosse necessario. «Non bisogna essere d’accordo con il proprio governo per essere un patriota», viene detto a un certo punto nel film. Questo è il ruolo che Oliver Stone dà al suo Edward Snowden. Un patriota contro, che difende i veri valori del «Greatest Country in the world» persi di vista dal governo e dalle istituzioni.

Snowden ha sempre e solo voluto difendere il paese, sin da quando provava, nel 2004, a entrare nei corpi speciali nonostante il fisico inadeguato, sin dalle prime missioni come informatico per la CIA in Svizzera, poi in giro per il mondo tra NSA, consulenze esterne e altri servizi di intelligence. Il dubbio di non stare dalla parte giusta inizia a farsi strada in fretta nella testa di Snowden. Dubbio che un po’ alla volta si trasforma in certezza.

Due anni fa c’è stato Citizen Four, il film più importante che potesse essere fatto sul caso Snowden, il racconto dall’interno dell’inchiesta giornalistica con cui sono venute fuori le prime informazioni sui servizi segreti statunitensi. Oliver Stone non lo dimentica e anzi rende il documentario di Laura Poitras il punto di partenza del suo biopic. È Melissa Leo nei panni di Poitras il primo personaggio che vediamo sullo schermo, è dagli incontri all’Hotel Mira di Hong Kong che parte tutto.

A differenza del documentario di Poitras, a Oliver Stone interessa, però, concentrarsi soprattutto sulla persona Snowden più che sulle sue rivelazioni, sulle ragioni che possono aver portato un uomo che aveva una vita sicura a rinunciare a tutto per mettersi contro il proprio governo.

Scelta necessaria, quella di Stone, anche perché come viene specificato all’inizio del film, siamo davanti alla drammatizzazione di fatti realmente accaduti, non davanti alla realtà. Solo che per andare a cercare le motivazioni del suo Snowden, Oliver Stone finisce per infilarsi nei binari del più banale film biografico con una forte venatura sentimentale.

Perché c’è una donna dietro tutto quello che fa Edward Snowden, c’è l’amore per la sua unica ragazza che ha sopportato i misteri, le bugie che il suo lavoro ha sempre richiesto e che a un certo punto ha scoperto essere spiata dal governo. È l’amore la spinta finale che lo convince a raccontare quello che sa. E sinceramente è troppo poco.

Sorretto da dialoghi quasi banali, Snowden rimbalza a caso tra vari registri narrativi senza mai riuscire a fermarsi in un punto preciso. A ispirare tutto c’è sempre la solita vena polemico-patriottica di Stone, quella che nell’arco degli anni lo ha portato a guardare più e più volte all’interno della realtà statunitense, ai suoi presidenti, alle sue guerre. La vita di Edward Snowden dovrebbe essere il pretesto, nelle sue intenzioni, per parlare di come la lotta al terrorismo sia diventata (o sia sempre stata) una scusa per controllare la vita di tutti, ma non riesce a tenere il film dove vorrebbe, scivolando sempre nella vita privata e nelle sue semplificazioni.

A portare in alto il film ci pensa Joseph Gordon-Levit in una delle sue interpretazioni migliori nei panni di Snowden, con un lavoro enorme sul corpo e sulla voce.

È il punto più alto di un film confuso e senza una vera personalità. Se volete sapere di più sul caso Snowden, guardate o riguardatevi Citizen Four. Anche se volete vedere un thriller politico di maggior spessore.

(Snowden, di Oliver Stone, 2016, biografico, 134’)

LA CRITICA - VOTO 5/10

Oliver Stone rimane fedele alla sua idea di cinema politico e patriottico ma conferma di aver ormai perso l’autorevolezza della voce e dello stile con un biopic piatto e piuttosto convenzionale salvato dalla grande prova del protagonista.