Flanerí

Cinema

“Free State of Jones”
di Gary Ross

Schiavismo e libertà

di Francesco Vannutelli / 29 novembre

Arriva al cinema in un momento storico non casuale, Free State of Jones, il nuovo film di Gary Ross con protagonista assoluto Matthew McConaughey. Non poteva esserci momento migliore, infatti, per portare in sala un film sullo schiavismo, sull’oppressione dello stato sul cittadino, del ricco sul povero. Dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti lo scorso 8 novembre sono in molti a chiedersi cosa succederà a Washington e dintorni, dopo una campagna elettorale in cui sessismo, classismo e razzismo sono stati combinati nelle giuste dosi per trasformarsi in populismo.

C’è da dire che nei cinema statunitensi Free State of Jones è arrivato a giugno, con risultati tutt’altro che soddisfacenti in termini di incasso. Il clima era già quello che era, anche se i sondaggi sembravano indicare un’altra direzione.

Gary Jones è partito dalla storia vera di Newt Knight (McConaughey), un maniscalco della contea di Jones, Mississippi, arruolato come infermiere confederato durante la Guerra Civile americana. Quando vede il suo giovane nipote morire per colpa di un ordine insensato di un ufficiale, Knight decide di disertare e fare ritorno a casa. Lì scopre che i soldati della Confederazione approfittano della guerra e dell’assenza di uomini nelle case per razziare le risorse delle donne rimaste sole. Dopo essersi opposto con un fucile e un manipolo di bambine, Newt si nasconde nella paludi del Mississippi insieme a un gruppo di schiavi scappati dalle piantagioni di cotone. È da lì che fa partire la sua rivolta contro l’esercito confederato che lo porterà a riunire sempre più persone, tra contadini e disertori, fino a fondare lo stato libero di Jones.

Il rischio, con pellicole doverose, come Free State of Jones, che affrontano il tema della schiavitù e della segregazione razziale, è sempre quello di metterci troppa partecipazione emotiva, di finire, da un lato, per caricarle di rabbia vendicativa (tipo il caso recente di The Birth of a Nation di Nate Parker), oppure, dall’altro, di metterci troppa retorica.

E il rischio della retorica, in questa storia vera di una specie di Robin Hood proletario, c’è. Knight si innamora e unisce con Rachel, una donna di colore, dopo che la prima moglie è scappata in Georgia con il figlio durante la sua latitanza. Dall’unione con Rachel nasce la prima comunità di razza mista del dopoguerra, che si perpetua nello stato del Mississippi fino all’età contemporanea. È nel secondo filone narrativo, quello più didascalico e superfluo, che Free State of Jones inciampa nella retorica. Ross decide di mostrare il processo a cui nel 1948 un discendente di Knight – bianco – venne sottoposto nella contea di Jones per aver sposato una donna bianca. Il problema era che la famiglia Knight aveva sangue africano nelle vene, per l’esattezza un ottavo, e pertanto, secondo le – per niente assimilabili al nazismo – leggi sulla segregazione razziale vigenti negli Stati Uniti del sud fino a poche decine di anni fa, i suoi esponenti non potevano unirsi in matrimonio con i bianchi, pena cinque anni di detenzione. Storia vera anche questa, nella sua assurdità, ma totalmente superflua e fuori registro rispetto al resto del film.

Perché nella parte storica, invece, Matthew McConaughey usa tutto il suo carisma per tenere a badare la retorica e caricarsi sulle spalle lo stato libero di Jones, sia il film che la patria dei ribelli.

Il regista Gary Ross ha una passione per i ribelli con una causa. Il primo Hunger Games era opera sua, e qualche elemento in comune con questo Free State of Jones ce l’ha. Pur lavorando poco (solo quattro regie in quasi vent’anni di carriera), Ross conferma tutto il suo talento nel gestire il materiale narrativo, sia come regista che come sceneggiatore. Nella parte storica, il trabocchetto più grande della retorica – l’indignazione – è aggirato con uno stile asciutto e comunque di impatto, come dimostra la scena delle madri con le sedie sotto l’albero dell’impiccagione. L’insistenza sull’elemento sociale delle rivendicazioni di Knight e dei suoi, che arrivano a darsi una costituzione basata sulla dignità del lavoro di ogni uomo, bianco o nero che sia, così semplici eppure fondamentali, dà al film un valore ulteriore, in prospettiva contemporanea. E ce n’è sempre bisogno.

(Free State of Jones, di Gary Ross, 2016, azione, 139’)

LA CRITICA - VOTO 6,5/10

Una sottotrama contemporanea e una progressiva perdita di tensione narrativa indeboliscono Free State of Jones, ma Matthew McConaughey ci mette la giusta dose di talento e carisma per aiutare il regista Gary Ross a evitare le trappole della retorica.