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Libri

“Un bene al mondo”
di Andrea Bajani

Una favola sulla necessità di crescere nonostante il dolore

di Chiara Gulino / 14 dicembre

Il dolore non ha consistenza, né peso o misura. Eppure il dolore ferisce. Può mordere, graffiare o dare zampate. Oppure può essere fatto della stessa sostanza sfuggente degli esseri fragili, incerti, condannati a essere creature poetiche ma irrilevanti nel mondo e a difendersi costantemente dagli attacchi altrui. È quest’ultimo dolore la personificazione dell’inaccessibile mondo interiore del bambino del nuovo libro di Andrea Bajani, Un bene al mondo (Einaudi, 2016).

Si tratta di una favola, ma di una favola profondamente letteraria, tutt’altro che melensa e artefatta. Bajani cuce una trama dal sapore universale con al centro i due protagonisti: un bambino con il suo docile dolore e la «bambina sottile» con il suo dolore spelacchiato. Il tono è onirico e rarefatto, i luoghi archetipici ma i contenuti sono tutt’altro che banali e innocenti. Lo scrittore romano ha qui travestito da fiaba un’allegoria della dolorosa condizione umana di impronta leopardiana.

Anche il mondo evocato da Bajani, quel piccolo paese che è un po’ figura di tutti i paesi del mondo, con la piazza, la strada, il bosco, la ferrovia che taglia in due questo microcosmo e al confine un cimitero, è piuttosto consueto, convenzionale e niente affatto straordinario o fantastico. Ma la magia delle favole è quella di trasformare persino il più comune degli oggetti in qualcosa di eccezionale, unico e irripetibile.

Di questo mondo Maria Cerri, nella copertina di Un bene al mondo, ha cercato di restituirne non tanto la realtà quanto piuttosto l’immagine mentale così come potrebbe formarsi nel bambino. Il disegno se da una parte perde in esattezza ne guadagna in bellezza e creatività. Ecco che allora tutto è riportato a forme semplici e geometriche. C’è una casa che è un cubo. E le case sono centrali nei romanzi di Bajani: Ogni promessa si apriva proprio con la descrizione di una casa che una donna, Sara, ha appena deciso di abbandonare, lasciando «i buchi dei mobili che aveva portato via. Erano come nicchie scavate ciascuna da un’esplosione. Ogni stanza aveva i suoi vuoti, i mobili di Sara che fino a poco prima stavano lì, schiacciati contro il muro in mezzo ai miei».

In Un bene al mondo la sofferenza è rappresentata dalla figura di questo bambino con il suo dolore che tiene al guinzaglio proprio come fosse un cagnolino mite e fedele, sensibile come il suo padrone allo sguardo vuoto della madre che ha perso il suo di dolore e agli eccessi d’ira del padre. Nella famiglia del bambino c’è infatti il dolore del padre raffigurato come una bestia feroce che risponde a un codice di violenza di cui il piccolo è prigioniero. Per la maggior parte del tempo è lui a doversi curare di tenere a bada questo dolore feroce e aggressivo.

Al di là dei binari c’è invece il dolore triste e spelacchiato della «bambina sottile» che però raramente porta con sé: «Quel dolore lasciato a casa era il loro segreto, e il bambino sapeva che un segreto condiviso trasforma un incontro in una cosa importante».

Il bambino cammina per i boschi per non pensare a tutte quelle cose che lo rendono triste. Costeggia i binari della ferrovia e sa a memoria tutti gli orari dei treni, immaginando un giorno di poter partire e non tornare più. Scrive delle lettere senza spedirle, a cui consegna tutte le parole non dette, i sentimenti celati, i momenti mancati. La «bambina sottile» è l’unica a prendersi cura del dolore del bambino ma anche lei nasconde una segreta sofferenza.

Il racconto di Bajani è il racconto di come sopravvivere all’infanzia e al tempo bloccato dell’illusione: «Il tempo era soltanto una ripetizione di gesti. Anche se moltiplicato per giorni o per anni, il vuoto era rimasto lo stesso».

L’atmosfera claustrofobica è la stessa della Trilogia della città di K. di Agotha Kristof, mentre la costruzione della trama tendente all’assurdo è accostabile al filone della narrativa fantastica italiana da Calvino a Tabucchi.

A un certo punto della narrazione l’andamento mitico della fiaba viene smentito dal tempo che ricomincia a scorrere. Passano giorni, mesi, anni. Il bambino non è più un bambino ma «un uomo alto un metro e novanta» che cammina da solo per le strade di una città «con in tasca la misura dell’amore che la bambina gli aveva lasciato».

Con una prosa luminosa, ipnotica nel ritmo e seducente nella parola, mossa da una sotterranea vena emotiva, Andrea Bajani mostra come l’esistenza umana sia plasmata dalla sofferenza. Tutti quanti aspettiamo di vivere la vera vita proprio come il bambino.

 

(Andrea Bajani, Un bene al mondo, Einaudi, 2016, pp. 138, euro 16,50)

LA CRITICA - VOTO 8,5/10

Con il suo alone da favola, non priva di un tono di malinconia, Un bene al mondo cattura qualcosa di profondo e segreto che appartiene a noi e a chi ci sta accanto: la capacità di adattarsi a crescere sopportando il dolore esistenziale.