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Libri

“Se questo è un uomo”
di Primo Levi

Quando la memoria si fa storia

di Giuseppe Virone / 27 gennaio

È stato Jacque Le Goff a tracciare in maniera netta il confine tra memoria e storia: la prima seleziona i ricordi, tralasciando tendenzialmente gli elementi meno rilevanti o quelli sgraditi, la seconda persegue l’idea della ricostruzione precisa, esatta, documentata. Primo Levi, con Se questo è un uomo, riesce a intrecciare i due percorsi e a dar vita a un capolavoro in cui il processo di selezione dei ricordi è mirato alla ricostruzione esatta di uno degli episodi più bui del Novecento: la Shoah.

Ma la narrazione dei fatti dell’Olocausto non è operazione semplice, per cui l’edizione dell’opera, così come la leggiamo oggi, è frutto di un processo di rielaborazione costante, durato almeno fino al 1976, quando Levi decide di aggiungere al testo l’“Appendice” con le risposte alle domande più frequentemente postegli dai lettori (e in questo modo aprendo ancora di più l’orizzonte della memoria/storia della vita nel campo di Auschwitz). Un processo di miglioramento anche linguistico, caratterizzato dalla sempre maggiore precisione nelle citazioni in altre lingue.

La memoria, quindi, che si fa storia grazie alla precisione del ricordo messo nero su bianco per far raggiungere un obiettivo: mettere a nudo il costante processo di “bestializzazione” degli uomini deportati nei campi di sterminio. Una rivendicazione della dignità umana delle vittime che Levi mette in atto mostrando, senza mai sfociare nell’eccesso, tutti gli espedienti degli aguzzini volti a ridurre i deportati in qualcosa d’altro che uomini. L’unico modo per sopravvivere è non pensare, come ci avverte l’autore a p. 129: «Fare economia di tutto, di fiato, di movimento, perfino di pensiero».

L’avvertimento circa quello che affronterà, al lettore arriva subito, quando aprendo il libro si trova di fronte la poesia in epigrafe “Shemà”, che riprende il testo sacro ebraico in cui si invitano i padri a tramandare ai figli la nozione dell’unico Dio. Primo Levi non è ebreo praticante, anzi, non è nemmeno credente, e la scoperta dei riti e delle tradizioni del popolo ebraico, per il chimico votato alle lettere (si tenga presente, per un senso che si può ben definire “del dovere” verso sé e verso gli altri) è successiva all’esperienza della deportazione. Il testo epigrafico, come ci fa notare Cesare Segre, riserva cinque versi per gli uomini e cinque per le donne, riproducendo la struttura bipartita del lager e quindi si fa proiezione di esso e avviso, si diceva, immediato al lettore sul prosieguo.

Restando in tema di strutture, possiamo ben affermare che il libro, nella descrizione di alcuni aguzzini, ma anche in quella delle diversi parti del lager, spesso assimilabili ai gironi infernali, richiama la Commedia, il cui ricordo sembra esplodere nel capitolo dedicato al “Canto di Ulisse”, dove si vede Levi impegnato nel tentativo di spiegare il passo dantesco al francese Pikolo. Allora ci si inoltra in una dimensione meta-testuale tale da rendere l’idea della cultura dell’autore, le cui conoscenze letterarie diventano strumento per uscire dal soffocamento di un ricordo che permea per intero la sua opera, e non solo in prosa.

Se questo è un uomo prosegue letteralmente con il successivo racconto del ritorno in patria a piedi: La tregua, ma la memoria della prigionia si incontra anche nelle sue poesie (si ricordino le raccolte L’osteria di Brema e Ad ora incerta).

Il ricordo di Primo Levi, quindi, che in alcuni capitoli del libro si esplicita con carattere diaristico, si fa testimonianza di un momento storico; il suo pragmatismo di uomo di scienze rende la sua scrittura (per sua stessa ammissione) semplice (ma non per questo meno espressiva, basti pensare alla sensazione che si prova leggendo della sete da combattere durante il trasferimento da Fossoli ad Auschwitz: ci si sente disidratati), adatta al grande pubblico e, proprio per questo, capace di raggiungere il fine imposto per imperativi proprio nel testo d’epigrafe, quello di considerare, ricordare, meditare «che questo è stato».

 

(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1947)