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Musica

“Slowdive” Degli Slowdive

Il ritorno dello shoegaze

di Luigi Ippoliti / 12 maggio

Pochissimi gruppi riescono a identificarsi esattamente con un genere. Uno di questi, certamente, sono gli Slowdive. Perché Gli Slowdive sono lo shoegaze e lo shoegaze è gli Slowdive. Provare a definire lo shoegaze nel suo significato più puro significa provare a definire gli Slowdive. Più dei My Bloody Valentine, troppo eccentrici per essere racchiusi in un unico genere, più dei  Ride che osarono una svolta tanto interessante quanto confusa con Carnival of Light (che gli Slowdive non avrebbero mai scritto), più dei Pale Saints che si affacciarono fortemente verso l’indie. E oggi, a distanza di vent’unanni dall’ultimo lavoro, Pygmalion, la band di Reading torna con Slowdive.

Come per quel ramo del post-rock sviluppatosi anche a seguito dello shoegaze, dove ritroviamo dei perfetti esempi di gruppi identificabili in tutto per tutto con un genere (gli Explosions in the Sky e i This Will Destroy You fanno quel ramo del post-rock e sono quel ramo del post-rock), così  tra shoegaze e Slowdive possiamo fare un’equazione sovrapponendoli senza problemi.

Questo, per forza di cose, porta con sé dei limiti palesi. Perché se negli anni Novanta lo shoegaze era la conseguenza di un processo storico musicale partito dalla new wave e dai Cocteau Twins, avere oggi tra le mani Slowdive  sembra trovarsi di fronte solo a un’enrome dose di nostalgia e nient’altro. Perché lo Shoegaze di fatto è morto nel giro di pochi anni  soppiantato dal Brit-Pop. Perché in ventuno anni la musica ha subito dei cambiamenti notevoli, espandendosi e contaminandosi differentemente rispetto a due decenni fa.

Slowdive è in tutto e per tutto un album vecchio e che oggi risulta un tentativo di aggrapparsi a un passato che non c’è più. Oltre a questo, inoltre, portandosi appresso il problema che lo shoegaze ha sempre avuto insito: quello di dire la stessa cosa allo stesso modo.

Un altro gruppo che avrebbe potuto identificarsi in un genere, i Low con lo Slow Core, nel corso degli anni ha saputo mutare,  cambiando il modo di approcciarsi  e di auto intendersi, per cui da I  Could Live in Hope a C’mon è possibile non etichettare il gruppo americano esclusivamente come Slow Core. Gli Slowdive, come nel pieno della loro carriera, invece, continuano a muoversi in maniera unilaterale. Esiste quella strada e nessun’altra.

“Slomo”, “Star Roving” e “Don’t Know Why” sembrano uscite dalle registrazioni di Just for a Day, ma suonate oggi da gente più stanca. Così come “Everyone Else” e “Go Get It”. Brani presi e allungati, chitarre dilatate, voci riverberate al punto tale da ricordare un sussurro che non ha fine. Le componenti sono sempre le stesse.  Quando ascolti gli Slowdive sai esattamente cosa ascolterai. Non c’è altra possibilità, perché identificandosi così prepotentemente in un genere, l’unica possibilità è quella di scrivere esattamente la stessa cosa, in continuazione.

Un paio di brani forse si distaccano leggermente, continuando comunque a orbitare attorno alla stessa cosa. “No Longer Making Time”, che e  sembra un pezzo scritto dagli Interpol  durante le registrazioni di Turn on the Bright Light e l’ultima traccia, “Falling Ashes”, caratterizzata da un pianoforte e un’atmosfera che lontanamente ricordano le musiche per aeroporti di Brian Eno.

Il forte paradosso è che è un lavoro coerente, ma che sfocia in un unicuum che fa risultare questo unicuum come qualcosa da cui si dovrebbe fuggire.

L’ascolto di Slowdive è alimentato unicamente dalla nostalgia. È difficile relazionarsi  a questo disco se non così. Un peccato, perché  gli Slowdive erano una perla negli anni Novanta. Ma i cinque di Reading hanno deciso di risvegliarsi da un letargo di ventun’anni scrivendo un album di cui si poteva fare a meno, offuscando il ricordo che si aveva di un gruppo che ha avuto un peso specifico importante nella musica pop degli ultimo venticinque anni.

(Slowdive, Slowdive, Shoegaze)

LA CRITICA - VOTO 5/10

A vent’unanni dall’ultimo lavoro, tornano gli Slowdive con un album che ripropone in tutto e per tutto ciò che avevano già detto.