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Musica

Cosmogonia

Cosmotronic, l'ultimo lavoro dell'artista di Ivrea

di Luigi Ippoliti / 23 gennaio

Cosmo è tornato. Il successore di L’ultima festa, Cosmotronic, era necessario per capire cosa fosse Marco Jacopo Bianchi. Cosmo è un’anomalia in un periodo in cui la questione attorno l’indie/mainstream – dove i nuovi interpreti la stanno delineando, fino quasi a deformarla – sta mettendo in discussione le macro categorie indie/mainstream. Ancora oggi è impossibile tratteggiare un discorso che possa rendere giustizia a cosa stia accadendo alla produzione musicale, in Italia, e alla sua fruizione. Ci siamo dentro in tutto e per tutto, abbiamo bisogno di uscirne fuori per narrarla totalmente. Si capisce sicuramente, invece, che Cosmo sia un’anomalia.

Un’anomalia quasi prevedibile, una necessità. Perché non lo si può pensare completamente fuori dalla querelle indie/mainstream, ital-pop: “Sei la mia città” o “L’ultima festa” sono lì a testimoniarlo. Ma non lo si può neanche immergere completamente – come invece, ad esempio, si è immerso Coez. “Ivrea Bangkok” o “Barbara” non hanno nulla a che vedere con nessuno, da Calcutta a Cremonini a Michelin.

Cosmo è una reazione alla questione indie-mainstream, è in contrasto con tutto, ma allo stesso tempo è dentro a tutto. È un fenomeno intrigante proprio perché sta accadendo oggi come fenomeno Cosmo. In un altro periodo – in un mondo che non ha visto l’avvento di Calcutta – Cosmo non avrebbe avuto l’accezione che ha Cosmo oggi. Vero, probabilmente non avrebbe suonato così. È chiaro e scontato, ma è fondamentale ribadire quanto, a oggi, sia fondamentale il filtro Calcutta. Perché dentro Cosmo c’è Calcutta – come una certa tendenza nel mix scrittura interpretazione, da un punto prettamente vocale è più facile trovare delle analogie con Luca Carboni – ma, soprattutto in Cosmotronic, c’è la contrapposizione a Calcutta. C’è il suo opposto. C’è la complicazione. Dove in Calcutta c’è semplificazione, in Cosmotronic c’è e contemporaneamente non c’è. Ci sono i ritornelli, ma non ci sono. Ci sono le frasi che si fissano in testa come un tormentone («Pizzeria, Pizzeria, Polizia, Polizia», da “Tristan Zarra”, a passaggi simil Vangelis, “Barbara”).

La commistione pop/elettronica non è nuova nel mondo, ma neanche in Italia. Lui, comunque, soprattutto con Cosmotronic, si è spinto sicuramente in là – molto in là – con la techno e la dance (“Attraverso lo specchio”), molto di più rispetto a L’ultima festa, dove la forma canzone riamaneva, nonostante un dose importante di elettronica alla Moderat, un caposaldo. Ciò rende quest’ultimo album molto più duro da metabolizzare. Perché se la prima parte ha degli appigli (anche solo banalmente delle melodie), la seconda parte risulta complessa sia per com’è sia perché suona in quel modo proprio dopo la prima parte. Il paradosso è che, nonostante ci sia una frattura, scorre in maniera sinistramente naturale.

Cosmo è un mistero, ma allo stesso tempo non lo è.  È sicuramente trasversale, camaleontico: può essere assimilabile da un pubblico che apprezza il nuovo ital-pop (“Sei la mia città”), amanti dell’elettro pop di stampo internazionale alla Apparat (“Tutto bene”) e i fan dell’elettro-dance alla Jamie XX (“Ivrea Bangkok”).

Cosmotronic gioca su un equilibrio per cui basterebbe nulla per collassare su sé stesso, risultando un’accozzaglia di idee messe alla rinfusa. Un lavoro infelice. Il rischio c’era: al contrario, viaggia con grande coerenza e coscienza di sé – forse addirittura con troppa, perdendo ogni tanto un po’ di umanità -, stagliandosi sulle produzioni attuali (anche su quelle molto buone come Colapesce).

Unicum nel panorama attuale italiano, Cosmotronic supera globalmente, a livello di intenti e di mire – come Opera – L’ultima festa, ma forse, e qui sta il grande rammarico, gli rimane un po’ dietro se decidiamo di approcciarci di pancia.

(Cosmotronic, Cosmo, Elettro-pop-dance)

LA CRITICA - VOTO 7/10

Cosmo si conferma come un’anomalia nel grande calderone dell’ital-pop. Nonostante Cosmotronic dia l’impressione di essere il suo miglior lavoro,  sembra mancargli un po’ di quella spinta umana che ha reso importante L’ultima festa.