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Cinema

La crescita attraverso il desiderio e il dolore

Su "Chiamami col tuo nome" di Luca Guadagnino

di Francesco Vannutelli / 26 gennaio

Arriva finalmente nelle sale italiane Chiamami col tuo nome, quinto film del regista italiano Luca Guadagnino, in giro per i festival di tutto il mondo dal gennaio dello scorso anno. In principio è stato Il Sundance Film Festival, poi sono arrivati Berlino, Toronto e una serie di altre manifestazioni. Dopo essere uscito nei cinema europei e nord americani, dopo essere stato inserito nelle classifiche dei migliori film del 2017, dopo le nomination ai Golden Globes (3) ai Bafta (4) e agli Oscar come miglior film, miglior sceneggiatura adattata,  miglior attore protagonista e miglior canzone originale, finalmente il film di Guadagnino viene distribuito anche da noi.

Prima di parlare del film, vale la pena soffermarsi brevemente sul rapporto quanto meno ambivalente del regista con il cinema italiano. Da Io sono l’amore del 2009, Guadagnino è diventato un regista di culto all’estero e un quasi totale sconosciuto in Italia. O meglio, è ancora il regista di Melissa P., trasposizione cinematografica del romanzo pruriginoso 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire. Non è solo un discorso di fortuna, o ricezione. I film di Guadagnino sono stati accolti con qualcosa di diverso dalla freddezza dalla stampa italiana, più concentrata a notarne i difetti che a sottolinearne i pregi. È andata così con Io sono l’amore. Nel 2015, con A Bigger Splash, la situazione si è replicata quasi uguale. Ottima accoglienza all’estero, quasi ignorato in Italia, con la stampa che si è soffermata soprattutto a denigrare l’ultima parte del film e l’interpretazione di Corrado Guzzanti. Così, l’evidente affermazione di un autore dotato di uno stile e di una voce ben definita è passata sotto traccia. Oggi, Luca Guadagnino è il regista italiano di maggior successo negli Stati Uniti (con buona pace di Gabriele Muccino). Anzi, è il regista italiano a cui dagli Stati Uniti guardano di più per capire il cinema del nostro paese (con buona pace di Paolo Sorrentino)

È quasi un bene che i distributori italiani abbiano atteso così tanto prima di far uscire Chiamami col tuo nome in Italia, almeno si è creato un minimo di attesa, di curiosità intorno a un film che avrebbe rischiato di scivolare nel dimenticatoio di un’etichettatura approssimativa e ingombrante.

Perché Chiamami col tuo nome, al netto dello strano rapporto tra il regista e la distribuzione nazionale, è un film che parla di amore. Di un amore omosessuale, nello specifico. Da qualche parte nell’Italia del Nord, nel 1983, il giovane Elio conosce Olivier, dottorando di architettura ospite della villa di famiglia per approfondire gli studi con il padre docente.  La presenza dello studente in casa attirerà Elio in un modo per lui nuovo, nell’estate in cui scopre per la prima volta il sesso.

Guadagnino ha definito Chiamami col tuo nome il terzo film di una sua personale trilogia sul desiderio, cominciata con Io sono l’amore e proseguita con A Bigger Splash. Lo ha anche definito il suo ultimo film sui ricchi (il prossimo sarà il remake di Suspiria di Dario Argento, e già ci sono molte polemiche). In verità, il cinema del regista siciliano è sempre stato un cinema carnale. Melissa P. rifletteva, pur con tutti i limiti di un film non riuscito, sulla potenza dell’essere desiderati, mentre nei film successivi lo sguardo si è spostato sul desiderio attivo, complicato dalla distanza sociale, dal passato, dal genere sessuale.

Etichettare Chiamami col tuo nome come un film omosessuale sarebbe estremamente limitante. Come La vita di Adele, e molto meglio di La vita di Adele, riesce a mostrare tutte le fasi dell’infatuazione adolescenziale. La curiosità, la confusione, il desiderio, la passione, il dolore, il sollievo.

La sceneggiatura, scritta da James Ivory dal romanzo di André Aciman, ha l’intelligenza e la sensibilità di non problematizzare l’attrazione tra Elio e Olivier per la sua dinamica omoerotica, concentrandosi invece sulla crescita di Elio, sulla sua crescita sentimentale. Così, interagendo con gli spazi della casa e della natura, delle piazze lombarde restituite agli anni Ottanta, i corpi di Elio e Olivier si muovono in una danza di avvicinamento, cauti e liberi, silenziosi e curiosi. Ogni tentazione scandalistica è tenuta lontana. Chiamami col tuo nome è un racconto di formazione delicato e sensibile. E se Armie Hammer interpreta Olivier soprattutto con la sua fisicità dirompente, il giovane Thimotée Chalamet si impone come centro assoluto del film per la sua capacità straordinaria di rendere con ogni gesto i tormenti di Elio.

La storia d’Italia scorre sullo sfondo, con il primo governo Craxi e il pentapartito, e tutte le perplessità del caso. Gli anni Ottanta emergono da ogni dettaglio, dalle Converse alle Lacoste, dai pantaloncini troppo corti ai walkman, fino alla regia di Guadagnino, che riesce a restituire una luce e un’estetica diversa. Il debito nei confronti di Bernardo Bertolucci è qui più evidente che mai, diventa quasi un omaggio dichiarato al suo cinema, e allo stesso tempo la personalità d’autore del regista si consolida ulteriormente su quei pilastri di cinema fisico, di corpi che ballano e si uniscono.

 

(Chiamami col tuo nome, di Luca Guadagnino, 2017, drammatico, 132’)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Partendo in maniera più esplicita che mai dal maestro Bernardo Bertolucci, Luca Guadagnino continua la sua riflessione sul desiderio con un racconto di formazione sensibile e raro.