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Cinema

Una storia che annega nell’amore a tutti i costi

La forma dell’acqua di Del Toro si perde nella favola

di Francesco Vannutelli / 16 febbraio

Ha il potenziale per essere il film dell’anno, La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, presentato come enorme successo alla Mostra del cinema di Venezia, dove si è aggiudicato il Leone d’oro, Golden Glober per la miglior regia e colonna sonora e candidato a tredici premi Oscar, tra cui quasi tutti i più importanti (film, regia, attrice protagonista e non, attore non protagonista, eccetera). Eppure c’è qualcosa in questa favola d’amore con il mostro che non riesce a definirsi, che non lo rende un capolavoro, anzi.

La stampa internazionale lo ha accolto elogiando gli aspetti tipici del miglior cinema di Del Toro. La sua passione per la storia e i mostri, che si incontrano in un passato di impossibile verosimiglianza da sempre, si declina in La forma dell’acqua in chiave romantica per la prima volta, mettendo in secondo piano l’horror o l’azione per concentrarsi sui sentimenti di estraneità, solitudine, attrazione, affetto.

Nella Baltimora del 1962, Elisa è una donna muta che lavora come addetta alle pulizie in un istituto governativo semi-segreto. La sua vita è scandita da una routine di uova bollite e affettuose amicizie con un vicino artista omosessuale e una collega brusca e bonaria. Un giorno nel laboratorio viene introdotta una strana creatura proveniente da qualche parte della foresta amazzonica. Elisa instaura un immediato legame con questo essere che appare come un ibrido tra uomo e pesce, e dall’unione impossibile di queste due solitudini nasce qualcosa di nuovo e potente.

Dopo la Spagna di Franco in La spina del diavolo Il labirinto del fauno, dopo gli Stati Uniti contemporanei di Hellboy, Del Toro si sposta in clima di  guerra fredda e corsa allo spazio con La forma dell’acqua. Negli Stati Uniti paranoici della minaccia sovietica ogni novità può trasformarsi in un’arma o in una minaccia, se non presa per tempo. La creatura che il funzionario militare Strickland porta nello stabilimento non merita attenzione scientifica, ma solo militare. Figuriamoci umana. Elisa, con il suo mutismo violento causato da una menomazione nell’infanzia, sente subito vicino quel mostro non mostruoso, immerso nel silenzio dell’acqua che lei tante volte sogna la notte e in cui si rifugia nei momenti più intimi. Sprovvista della parola, riesce ad andare oltre alla forma e a vedere cosa si nasconde dentro, in profondità.

Strutturato interamente come una favola per adulti, La forma dell’acqua sceglie un registro più leggero ed etereo rispetto ai precedenti lavori di Del Toro. È a tutti gli effetti una storia d’amore, con il fantastico chiamato a definire la distanza tra i buoni e i cattivi.

Leggendolo come apologo morale, come sicuramente Del Toro, anche sceneggiatore, ha voluto confezionarlo, La forma dell’acqua si regge sul messaggio che i diversi sono migliori degli apparenti normali. Elisa, il suo vicino omosessuale, la sua collega afroamericana, sono capaci di una sensibilità e di una dolcezza di cui invece è privo l’americano medio. Perché Strickland, cattivo fino al midollo, è l’unico tra loro ad avere una famiglia, una Cadillac, una villetta a schiera. Tutti gli elementi del sogno americano in mano all’unico vero mostro del film. In questa dicotomia così marcata, che rivendica la nobiltà di ogni espressione umana contro il pensiero medio dominante, si concentra il messaggio del film.

Del Toro fa un elogio degli emarginati, affidandosi a un cast di grandi interpreti, con Sally Hawkins credibilissima muta, Octavia Spencer che fa sempre lo stesso ruolo ma lo fa benissimo e Richard Jenkins che non viene mai elogiato abbastanza. Ma se il messaggio è alto e in perfetto stile della migliore Hollywood, è la struttura a lasciare non pochi dubbi.

Costruito come una favola nera, adulta ma leggera, La forma dell’acqua sacrifica ogni aspetto di credibilità nello sviluppo narrativo sull’altare del messaggio. Per intenderci, è uno di quei film in cui cattivi sono cattivi senza appello e ottusi al punto da non riuscire a collegare gli elementi sotto i loro occhi. È un film in cui la protagonista, normalissima donna delle pulizie, ha accesso illimitato e non sorvegliato a ogni livello di una struttura in cui sono custoditi segreti militari, al punto da poter passare la sua pausa pranzo in compagnia del mostro. È un film in cui doppiogiochisti di varia natura hanno rigurgiti di coscienza solo quando serve a svoltare un momento della trama.

Perso nel suo tentativo di trovare una nuova dimensione adulta al racconto favolistico, introducendo anche elementi sensuali in maniera forzata e quasi voyeuristica, Del Toro finisce per perdere di vista l’equilibrio generale del suo film. È chiaro: c’è la poesia, c’è una triste delicatezza unica, ci sono momenti di grande impatto visivo e anche emotivo, ma sono sprazzi in un film scollegato.

(La forma dell’acqua, Guillermo Del Toro, 2017, fantastico, 123’)

 

LA CRITICA - VOTO 5,5/10

Guillermo Del Toro conferma la direzione che preferisce per il suo cinema con una favola per adulti che unisce storia e fantastico. Dietro alla poesia di un incontro impossibile, però, c’è un film senza un equilibrio.