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Cinema

Il desiderio inarrestabile di voler piacere a tutti

Il Berlusconi di Sorrentino in "Loro"

di Francesco Vannutelli / 11 maggio

Non è semplice, non dovrebbe essere nemmeno possibile, sicuramente non è giusto, dover valutare un’opera incompleta. Che senso ha parlare della prima parte di qualcosa che si sa già diviso in due? Qual è il motivo di concentrarsi sulla parte visibile di un oggetto quando la sua vera essenza potrebbe essere racchiusa in quello che ancora non si può vedere? Parlare di Loro 1, la prima parte del nuovo ambizioso film di Paolo Sorrentino sugli anni finali di Silvio Berlusconi premier e sul berlusconismo, non può portare a nient’altro che a un giudizio incompleto. Lo stesso se si analizzasse solo la seconda parte.

Dopo aver visto Loro 1 e 2 si può dire subito che non c’è un motivo, uno solo, per cui il film sia diviso in due parti. Con poche accortezze di montaggio si sarebbe potuto ottenere un film unico, magari dal minutaggio importante. Con più coraggio, si potevano tagliare ampie parti inutili nell’economia generale del progetto e ottenere un film unico di durata normale. Siamo di fronte a un film che non è torrenziale, che non offre un mondo enorme che meriterebbe di essere esplorato in ogni suo angolo. Loro, malgrado quello che il titolo vorrebbe suggerire, è un film su Berlusconi, non sulle persone intorno a lui (i “Loro”, appunto). E questa presenza centrale, magnetica e magmatica, risucchia tutto il resto.

Loro 1 si apre con una prima, lunga parte dedicata a una coppia che aspira a entrare nella corte berlusconiana a suon di cocaina e prostitute. Partendo dalla vicenda di Gianpaolo Tarantini, Sorrentino affida a Scamarcio il ruolo di un faccendiere disposto a tutto per andare via da Taranto. Sembra lui il protagonista, una specie di Wolf of Wall Street in ambiente romano. Caotico, spregiudicato. Ma è un’illusione, perché negli ultimi venti minuti del primo film entra in scena Berlusconi, e tutto quello che si era visto fino a quel momento viene spazzato via.

È un Berlusconi ferito, quello che appare nella sua villa in Sardegna. Le elezioni del 2006 hanno riportato al governo Romano Prodi per un pugno di voti. La moglie Veronica Lario si è trincerata in un’ostilità palese, stanca delle continue voci di tradimenti. Scavalcata la soglia dei settant’anni, Berlusconi vede, enorme, davanti a sé la fine.

La storia politica ha dimostrato che il declino non era ancora arrivato, ma a Paolo Sorrentino interessava concentrarsi su quell’attimo, quello in cui in maniera invincibile la vita politica dell’ex Cavaliere ha iniziato a intrecciarsi con la sua vita pubblica. Il momento in cui gli scandali hanno iniziato a demolire un impero politico.

Come per l’Andreotti di Il divo era centrale, soprattutto, la capacità corrosiva del potere come pulsione a fare anche il male nella convinzione di perseguire il bene, in Loro il potere che Berlusconi incarna è una concezione infantile della soddisfazione di sé e della fuga dalla solitudine. Il Berlusconi di Sorrentino vuole piacere a tutti regalando a tutti ciò che di sé ama di più e ciò che più ama. Un vulcano, una giostra in giardino, una dentiera, la barzelletta. È un uomo incapace di elaborare tutto ciò che è verità, che allontana il vecchio amico di tanti anni di televisione perché gli ricorda il declino, che lascia appassire un matrimonio che è il segno quotidiano della fine della giovinezza. La spinta costante al narcisismo più estremo è il motore con cui allontanare il tempo.

In Loro si sommano alcuni degli argomenti standard del cinema di Sorrentino. Le riflessioni sul potere, sulla decadenza, sulla vecchiaia, sulla solitudine che ha portato avanti in forme diverse in tutti i suoi film, rendendole più esplicite a partire da Il divo e cristallizzate nella serie tv The Young Pope si incontrano con il reale incarnato da Berlusconi. L’ex presidente del consiglio è l’uomo pubblico italiano in cui il confine tra realtà e finzione, tra bugia e verità, tra mistificazione e manifestazione è il più sottile.

A Sorrentino è cara la celebre tripartizione di Arbasino: «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “brillante promessa” a quella di “solito stronzo”. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di “venerato maestro”». L’età, oggi, non gli concede né di essere “brillante promessa” né “venerato maestro”, e sembra essere consapevole di essere un “solito stronzo”. Con l’intelligenza che gli appartiene, il regista ha abbracciato la categoria arbasiniana calcando la mano su alcuni elementi tipici del suo cinema e della sua scrittura. Molti momenti di Loro  sono esasperazioni di quanto già visto in La grande bellezza. Molte delle critiche standard mosse a Sorrentino (forma che sovrasta la sostanza, estetizzazioni forzate, Fellini come spirito guida) vengono qui prese e cavalcate anziché rinchiuse in un recinto. Sembra buttarsi in bocca a chi lo vuole sbranare. Non è solo coerenza: è una scelta di stile, un insistere sulle proprie convinzioni.

In Loro, però, c’è un contrasto troppo marcato tra le intenzioni d’autore e la loro concreta realizzazione. Senza discutere gli enormi e consolidati meriti di scrittura e regia, l’eleganza della messa in scena, le prove d’attore con Toni Servillo – che sembra fare la caricatura di Berlusconi, ma che si limita, in realtà a interpretare quel Berlusconi, quello delle barzellette, di «Mister Obama!»–, c’è una divisione troppo netta tra quel lungo prologo sui “Loro” e la successiva forza centripeta di Berlusconi. Il rapporto tra le due parti è sbilenco, sproporzionato, dispersivo ai fini narrativi. Loro 1 sembra lavorare, nella sua prima parte, verso la costruzione di un mito invisibile. Berlusconi non viene nominato, non viene mostrato. Si parla di lui sottovoce, ci si avvicina solo per interposta persona. Sembra che Scamarcio/Tarantini sia Willard e Servillo/Berlusconi sia Kurtz. Quando però l’ex cavaliere esplode sullo schermo, tutto cambia, incluso il senso dell’intero progetto Loro.

Rimangono da capire le reali motivazioni che hanno spinto Sorrentino e il produttore Nicola Giuliano verso la divisione in due parti. Al termine di una visione complessiva non si può non pensare che si sia trattata di una pura e semplice manovra commerciale per un film che avrebbe voluto essere tutto e che si è perso nelle sue troppe idee.

 

(Loro, di Paolo Sorrentino, 2018, biografico, 100’ + 100’)

 

 

LA CRITICA - VOTO 6/10

Loro si può valutare solo come somma delle sue due parti. Non sono due film separati, sono un film unico con una lunga digressione iniziale. La divisione in due film è un’operazione esclusivamente commerciale che limita la portata di un film che avrebbe potuto essere molto di più.