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Cinema

“Solo”, ovvero: come andare sul sicuro

Ron Howard sceglie la strada più semplice

di Francesco Vannutelli / 25 maggio

Poteva andare molto peggio di così, Solo: A Star Wars Story, il secondo spin-off del nuovo universo cinematografico di Guerre stellari voluto dalla Disney dopo aver acquistato la Lucasfilm. Le premesse non lasciavano presagire nulla di buono. Lo scetticismo era tanto, così come i pregiudizi. Invece, il quarto film della nuova fase della saga ideata da George Lucas conferma le diverse direzioni, e le diverse anime, in cui si può espandere questo universo.

Solo nasce come racconto di formazione di uno dei protagonisti della trilogia originale, Han Solo. Contrabbandiere arrogante e cinico, il personaggio interpretato da Harrison Ford era diventato subito il più iconico e carismatico tra gli eroi di Guerre stellari. Come è successo spesso nella sua carriera, Ford non amava particolarmente il personaggio e supplicava Lucas di farlo morire per potersene liberare (cosa che gli è riuscita solo nel 2016 con Il risveglio della forza). Il pubblico, invece, lo adorava.

L’annuncio che Lawrence Kasdan, lo sceneggiatore di L’impero colpisce ancora, da molti ritenuto il miglior film della saga, si fosse messo al lavoro su un copione sulla storia dell’eroe prima dei film insieme al figlio Jon, aveva subito scaldato gli animi. Quando poi era stato comunicato che Christopher Miller e Phil Lord si sarebbero occupati della regia l’entusiasmo era dilagato. Miller e Lord sono i registi e responsabili di The Lego Movie, uno dei film più bizzarri e interessanti prodotti a Hollywood negli ultimi anni. Sono portatori di un’idea di cinema nuova, irriverente e scanzonata, che avrebbe introdotto un tono mai visto nei film di Star Wars.

Il film aveva iniziato a prendere forma con l’annuncio del cast. Alden Ehrenreich, già visto in Ave, Cesare! dei fratelli Coen, ottiene la parte di Han Solo giovane. Insieme a lui vengono chiamati Donald Glover, in costante rampa di lancio soprattutto negli Stati Uniti, come Lando Carlissian, Woody Harrelson per un personaggio nuovo con funzioni di mentore, Emilia Clarke, la Daenerys Targeryen di Il trono di spade, come un probabile amore di Solo.

Qualche settimana dopo l’inizio delle riprese, Miller e Lord vengono licenziati. La motivazione, mai resa pubblica ufficialmente, sembra risiedere nel disaccordo tra produzione e registi sulla direzione da far prendere al film. Al loro posto viene chiamato Ron Howard, veterano di mille blockbuster, regista capace ma non certo un innovatore come potevano essere i suoi predecessori. È qui che iniziano a serpeggiare i primi, evidenti, malumori intorno al film. La Disney rivede al ribasso le stime di incasso per l’esordio. La strategia standard per la promozione dei film di Star Wars cambia. Anziché tenere tutto segreto iniziano a circolare anteprima, immagini e recensioni prima dell’arrivo in sala. La Disney, in pratica, cerca di dirottare il possibile malcontento del pubblico verso un nuovo entusiasmo. Viene organizzata una première venti giorni prima dell’uscita in sala, addirittura il film sbarca a Cannes, fuori concorso, per la prima volta nella storia della saga.

Alla prova dei fatti, Solo: A Star Wars Movie è un perfetto meccanismo di intrattenimento. Non è chiaro dove finiscano i meriti dell’impostazione lasciata da Miller e Lord – rimasti, nominalmente, come produttori esecutivi – e dove inizino quelli del nuovo regista. Quello che è certo è che Ron Howard ha dimostrato tutto il suo mestiere nel subentrare e garantire alla produzione la commerciabilità del prodotto, cosa in cui è specialista.

Solo torna allo spirito dei primi film, lavorando sulla retorica dell’eroe cara a Lucas rivisitata in chiave di western intergalattico. Per andare sul sicuro, è un film completamente al servizio dei fan. Viene mostrato tutto quello che il pubblico vuole vedere, viene spiegato tutto quello che il pubblico vuole sapere. Rispetto alla nuova trilogia e al precedente spin-off Rogue One, questo film osa molto di meno, si limita a fare quello che è necessario. A tratti finisce per scivolare nel didascalico nel tentativo continuo di far sentire lo spettatore a casa.

Non deve, però, essere visto come un difetto. Nella prospettiva del cinema di intrattenimento, Solo ha tutte le caratteristiche che deve avere. Tra i nuovi film della saga è il primo che sembra mostrare una direzione da poter intraprendere per un proprio cammino autonomo, e non è un caso che il finale lascia presagire la possibilità di seguiti o sviluppi paralleli.

Il merito è anche del protagonista Alden Ehrenreich che riesce nel tutt’altro che semplice compito di indossare i panni del mito. Il suo giovane Han Solo mostra in accenno le caratteristiche note incarnate da Ford. È fragile e avventato, arrabbiato e pieno di speranza. Non è un calco puro e semplice dello Han che sarà, è un embrione da cui si svilupperà il personaggio successivo.

Senza raggiungere alcun tipo di vetta, se non quella dello spettacolo, Solo: A Star Wars Story conferma il potenziale della visione Disney di Star Wars. Ci sono galassie e galassie da mostrare al cinema. Se Lucas si era accontentato di espandere il suo universo in fumetti, libri e cartoni animati, La Disney ha capito che il cinema è l’habitat naturale per le guerre stellari, ed è lì che devono stare.

 

(Solo: A Star Wars Story, di Ron Howard, 2018, fantascienza, 135’)

 

LA CRITICA - VOTO 6,5/10

La saga di Star Wars lascia perdere l’innovazione e punta sull’effetto nostalgia per il suo film produttivamente più complesso. Ron Howard riesce a dare vita a una mitologia di Han Solo semplice, a tratti addirittura didascalica, ma efficace.