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Cinema

Viaggio al termine delle botte

Alessandro Borghi vive Stefano Cucchi sulla sua pelle

di Francesco Vannutelli / 31 agosto

Film d’apertura della sezione Orizzonti della settantacinquesima Mostra del cinema di Venezia, Sulla mia pelle di Alessio Cremonini racconta gli ultimi sette giorni della vita di Stefano Cucchi, deceduto il 22 ottobre 2009 nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma a seguito del pestaggio subito dai carabinieri dopo l’arresto, una settimana prima, per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Stefano Cucchi aveva un passato di tossicodipendenza da eroina che lo aveva portato in comunità e a un lungo percorso di recupero. Nell’ottobre del 2009 faceva sport, lavorava nella società di suo padre, aveva una sua casa, ma non aveva chiuso del tutto con la droga. Una sera, la sera del 15 ottobre 2009, mentre era fermo in macchina con un amico, viene fermato da una pattuglia dei carabinieri per un controllo. Gli trovano addosso delle dosi apparentemente già pronte per lo spaccio di hashish e cocaina e viene portato in caserma per la custodia cautelare. Da quel momento inizia per Cucchi una notte lunga sette giorni da cui non si risveglierà più.

Cremonini, scrivendo il film con Lisa Nur Sultan, ha deciso di concentrarsi sui fatti senza spingersi più in là. Partendo dalle testimonianze e dagli atti ufficiali dei procedimenti giudiziari, senza sostituirsi ai giudici o agli investigatori, Sulla mia pelle racconta la storia di un uomo, della sua famiglia e della serie di abusi e negligenze che hanno portato alla sua morte in carcere senza che potesse incontrare mai il suo avvocato o i suoi genitori.

Si potrebbero scrivere pagine intere sulla colossale interpretazione di Alessandro Borghi, dimagrito di diciotto chili per diventare Stefano Cucchi, capace di comunicare con tutto il corpo la sofferenza e di occupare il centro della scena anche con il silenzio o coprendosi il volto con le coperte. Borghi non è il solo merito del film. La famiglia Cucchi viene interpretata da Jasmine Trinca nei panni della sorella Irene, da Milivia Marigliano madre sofferente e da un sorprendente e bravissimo Max Tortora nei panni del padre. Cremonini, attento a prendere il meglio dai suoi interpreti, a lasciarli esprimere con disperata naturalezza, accompagna con uno sguardo ravvicinato i corpi senza retorica. Ha l’intelligenza di non mostrare il pestaggio subito da Cucchi – ancora oggetto di indagine, tra le altre cose – per non fare del sensazionalismo fine a se stesso.

A rendere, però, Sulla mia pelle un film da ricordare è l’assoluta mancanza di indulgenza nei confronti della vittima. Stefano Cucchi aveva un passato difficile, un presente complicato e un futuro da determinare. Quando i genitori ricevono la notizia dell’arresto con una perquisizione in casa non sono increduli, sono rassegnati. Continuano a ripetersi che le cose dovranno cambiare quando uscirà. Provano a stargli vicini, a capire, ma sono pieni di rabbia, della rabbia disperata di chi sopporta da troppo tempo. Lo Stefano Cucchi del film sceglie di non parlare, di non dire a nessuno – agli agenti, ai paramedici, ai dottori – cosa gli è successo, come si è fatto davvero quei lividi, come si è rotto le vertebre, perché ha vissuto abbastanza da sapere che è più rischioso dire la verità che tenersi il dolore. È complice del suo stesso destino perché non si fa aiutare, non denuncia, aspetta solo che passi. La responsabilità, però, non è sua. Nei sette giorni tra l’arresto e la morte, Cucchi è entrato in contatto con circa 140 diverse persone tra carabinieri, medici, agenti carcerari e altri detenuti. Nessuno è sembrato volersi fare carico fino in fondo di quel corpo martoriato, rimbalzandolo lontano per evitare ogni coinvolgimento.

Confrontarsi con la cronaca contemporanea non è semplice. Il caso Cucchi ha catalizzato in questi nove anni l’attenzione dell’opinione pubblica in vario modo e a varie riprese. La ricerca della verità sulle cause che hanno portato alla morte di Cucchi è ancora oggetto di procedimenti giudiziari. Sulla mia pelle ha l’intelligenza e il merito di lasciare da parte ogni connotato politico della vicenda per concentrarsi su una ricostruzione che senza denunciare vuole solo fare rumore su un dato intollerabile: il numero di morti in carcere. Nel 2009 si contarono 176 decessi complessivi negli istituti penitenziari (Cucchi era il numero 148). Andando oltre le responsabilità della vicenda, Cremonini sposta, con una didascalia finale, l’attenzione sul dato generale per parlare di quello che è un problema sociale troppo spesso trascurato.

 

 (Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini, drammatico, 2018, 100’)

 

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Affidandosi a un grandissimo Alessandro Borghi, Alessio Cremonini dà una nuova vita al cinema civico con Sulla mia pelle. Un film che non è inchiesta o denuncia, ma pura narrazione, angosciante, claustrofobia, spietata.