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“Fleabag” non è la miglior serie al femminile di sempre

È molto di più

di Francesco Vannutelli / 21 giugno

Su Prime Video, la piattaforma di streaming di Amazon, c’è una piccola serie britannica imperdibile. Si chiama Fleabag, letteralmente sacco di pulci, l’ha prodotta BBC Three, l’ha ideata, scritta e interpretata la commediografa Phoebe Waller-Bridge, e nell’arco di due stagioni, dodici episodi e circa 300 minuti complessivi è riuscita a ridefinire il concetto di scrittura televisiva.

Fleabag è il soprannome della protagonista, una giovane donna londinese alle prese con una famiglia complicata, un’attività che non decolla e una serie di rimpianti che la perseguitano. Nella prima stagione deve affrontare il rimorso per la morte – suicidio? incidente? – della sua migliore amica e socia di cui si sente responsabile, nella seconda l’infatuazione potentissima per un uomo inavvicinabile: un prete cattolico. In mezzo ci sono la sorella e il suo viscido marito, il padre e la sua nuova compagna – una specie di compendio di tutte le matrigne delle favole –, i debiti, gli uomini sbagliati e un porcellino d’India.

La prima stagione è arrivata nel 2016, la seconda nei primi mesi del 2019. Waller-Bridge è partita da un suo premiato testo teatrale del 2013, un monologo portato in scena a Londra sulla vita della protagonista. Ci doveva essere una sola stagione, poi è arrivata la seconda, che dovrebbe essere l’ultima.

Senza rivelare troppo a chi deve ancora vederla, Fleabag segue in due atti la caduta e la ascesa della sua protagonista. La prima stagione si concentra su un precipitare lento, costante e comune a molti in una serie di (in)evitabili errori alimentati dalla mancanza di autostima. La seconda segue le fasi conclusive di una ristrutturazione personale iniziata negli anni non mostrati sullo schermo.

Interpretata con classe da attori britannici più o meno noti – la matrigna è Olivia Colman, premio Oscar quest’anno per La favorita; il prete è Andrew Scott, già Moriarty nello Sherlock BBC –, Fleabag ha nella scrittura intelligente, provocatoria e anticonvenzionale il suo punto di forza.

In tanti nelle scorse settimane si sono affannati a parlare della seconda stagione di Fleabag, e in generale dello show, come «la miglior serie al femminile di sempre». La verità, più semplice e ampia, è che Fleabag è una delle serie tv meglio scritte di tutti i tempi.

La capacità che ha di trasmettere la disperazione e le speranza della protagonista e degli altri personaggi, di costruire psicologie con semplici tratti puntando quasi sempre sulla sola ironia, la rende un prodotto unico.

L’intuizione, semplice, già vista, ma comunque efficace e a suo modo sorprendente, di permettere alla protagonista di infrangere la quarta parete e rivolgersi al pubblico crea una vicinanza che diventa presto empatia totale.

Sparsi qua e là ci sono una serie di momenti televisivamente perfetti, compreso il finale, lieto e amaro allo stesso tempo. Di sicuro, i ritratti femminili che vengono fuori sono quanto di più consapevole, sincero e allo stesso tempo dissacrante si sia visto nelle serie tv, ma parlare di Fleabag come uno spettacolo al femminile vuol dire limitarne la grandezza.