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Musica

Premio Tenco, Brunori Sas, Paolo Benvegnù

Cos'è il premio Tenco?

di Luigi Ippoliti / 8 luglio

Si può dire senza molti problemi: Dell’odio dell’innocenza è un album più complesso e più interessante di Cip!. In maniera molto semplice e netta, Benvegnù ha tirato fuori un lavoro che ha nella ricerca della parola – tecnicamente motore delle valutazioni della giuria del Tenco – un livello di attenzione che si trova diversi piani sopra Brunori.  Oggi come in passato.

Le votazioni hanno dato questo esito: 56 a 48.  Brunori Sas ha battuto Paolo Benvegnù per 8 punti. Al terzo posto Diodato con Che vita meravigliosa, poi i Perturbazione con (dis)amore e per ultimo Luca Madonia con Piramide – quest’ultimo, in questo quintetto, avrebbe forse potuto racimolare qualche cosa in più.

Brunori ha capito come farsi apprezzare da un pubblico più vasto, una sorta di piccolo nuovo Ligabue non con gli stivali da cowboy ma in pantofole.  È un male piacere a molti? Dobbiamo odiarlo perché non è più di nicchia come agli esordi quando cantava “Italian Dandy“? No, chiaramente no. Ma questo non può distrarci dal fatto che Cip!, senza tirare in ballo il passato e quindi tutta la figura di Brunori, sia meno efficace rispetto a Dell’odio dell’innocenza – chiaramente non da un punto di vista di vendite, lì la questione neanche si apre. La votazione dovrebbe non curarsi della portata mainstream dell’album, ma qui, in realtà, sembra che le cose siano andate proprio in questa direzione.

Un aspetto fondamentale risiede nell’aspettativa e l’aura da guru/santone che da qualche tempo sta attorno a Brunori. Quello del cantautore calabrese è un caso molto strano, figlio un po’ di un buco generazionale. Tutta l’it pop sembra tagliata fuori da questo discorso, vuoi per impegno/disimpegno, vuoi anche per un discorso magari meno profondo e interessante, ma che può influire: la presenza fisica. Calcutta e Contessa (nonostante quest’ultimo, per chi scrive, sia il l’autore che è riuscito meglio a raccontare gli ultimi dieci anni) non vestono quel ruolo. Ci sarebbe Tommaso Paradiso, ma sta prendendo una strada piuttosto discutibile. Brunori sì, con quella barba e i capelli cenere. Quel portamento già visto nell’idea che abbiamo del cantautore.

 

Sulle sue spalle, infatti, è stato gettato il peso di un cantautorato che sembra smarrito, senza una o più voci che possano narrare con lo statuto che compete la società, i tempi, una generazione. Partendo dall’indie di una decina di anni fa insieme al collega Dente, piano piano è andato a trascolorare anche in contesti diversi, facendosi altro dal semplice cantautore indie di nicchia.  Questo vuoto storico ha probabilmente gonfiato i valori reali di Brunori, finendo quasi per essere una speculazione artistica, e che infatti in Cip! è andato a ripescare massicciamente un modo di fare un po’ alla De Gregori per darsi ulteriormente un tono da vero cantautore, senza disdegnare i suoi soliti spunti alla Gaetano. Ma di fondo è proprio nella scrittura che il calabrese non riesce a convincere mai pienamente.

C’è quindi l’annosa questione su cosa sia una canzone d’autore ed è su questa dovrebbe ruotare il discorso delle motivazioni che spingono la giuria del Tenco ad assegnare il premio.  Ma se partiamo anche da un’idea più o meno vaga di cosa abbia rappresentato in Italia l’idea storicizzata della musica autorale, Dell’odio dell’innocenza è una cosa che rientra in certi canoni, mentre Cip! sembra solo costeggiarli.

E non è neanche un merito particolare quello che si dà a Benvegnù. Senza fraintendimenti: Dell’odio dell’innocenza è un lavoro di spessore, ma nella sua carriera ha scritto di meglio. Se non chiaramente Piccoli fragilissimi film, il suo vero e proprio capolavoro, anche solo con Earth Hotel si è fatto preferire, stando una spanna più in alto. Oggi il milanese è andato a ripescare alcune sonorità radioheaddiane (Ok Computer in particolare) a cui ha aggiunto, senza strafare, inclinazioni alla Ivano Fossati.

Per fare un esempio diretto: un brano come “Non torniamo più“, che mischia un vecchio mondo  (proprio Tenco, “Lontano, Lontano”) a uno più o meno nuovo (qualcosa di sigurrossiano), Brunori Sas non lo ha mai azzardato. I brani di Cip! sembrano solo muoversi sulla superficie della profondità delle cose, guardandole dall’alto, senza provare a scontrarci. È sempre presuntuosamente distante, ma in grado di camuffarsi e di sembrare altro. Il brano più riuscito dell’album è banalmente uno dei singoli, “Al di là dell’amore”, in fondo anche un pezzo furbetto, con la sua inclinazione verso una radiofonicità sempliciotta. Il resto è vago: una sufficienza striminzita.

Benvegnù, invece, regala sempre la sensazione di andare a fare i conti con l’intangibile dell’esistenza, anche nei pezzi meno riusciti. E questo è un aspetto che si può ritrovare in tutta la sua carriera solista.

L’ex Scisma, dunque, sembra un eterno secondo, un po’ come sono/sono stati Murakami o Philip Roth nell’annosa questione dei premi Nobel. Mentre invece Brunori è sempre più lanciato a vestire i panni del vincitore, quello che ce la fa. C’è forse da rivedere, in definitiva, per le prossime stagioni, l’idea del premio Tenco: cosa vuole e a cosa ambisce.