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Musica

La grandezza di Francesco Bianconi

"Forever", il primo lavoro solista del leader dei Baustelle

di Luigi Ippoliti / 28 ottobre

Forever di Francesco Bianconi è un album drammatico, lugubre, complesso. È banalmente un album pesante. È Bianconi nella sua essenza più profonda. Un lavoro che non strizza l’occhio a quello che succede nel mondo della musica.  Non ha a che fare con le mode, con ciò che va o che non va. È volutamente fuori da qualsiasi suggestione del momento. Un lavoro intellettuale, qualcosa che ha bisogno di tempi diversi da quelli attuali per essere metabolizzato e compreso.  È una sfida che lancia a chi lo ascolta.

Ma è contemporaneamente un lavoro emotivo, dove Bianconi sembra fare i conti con il personaggio Bianconi. E, allo stesso tempo, è il personaggio Bianconi a fare i conti con l’essere umano Francesco Bianconi. Le contraddizioni che emergono con ciò che deve rappresentare e come deve mostrarsi. Va a frugare oscenamente nella merda, ci dice senza che ce lo dica esplicitamente. Vergognandosene, vergognandosi del proprio ego, ma non potendo fare altro. Come è volutamente osceno e scabroso nel suo ripetere fica in “Certi uomini“.

Rachele Bastreghi e Claudio Brasini vengono lasciati  da parte. Decide che è arrivato il tempo di provare a scrivere qualcosa da solo. «Perché crescere bisogna controvento nella neve».  Cosa non facile da solo dopo vent’anni in quella che a tutti gli effetti è una bellissima e piacevole  comfort zone.

La sua scelta deriva da ambizioni artistiche. Questo emerge da quello che rappresenta storicamente Bianconi e quello che esce fuori da Forever. Non è un album costruito e pensato per vendere.  Già lo si sapeva prima, ma oggi è tutto più chiaro. Francesco Bianconi è il più grande autore italiano degli ultimi anni. Forever è, ora, la testimonianza che fa di Bianconi davvero l’unico grande autore che può ambire a raggiungere l’olimpo. Sì, i mostri sacri: De Andrè, Tenco, De Gregori, Guccini, Dalla, Battisti. Chiaramente Battiato.

Attorno a Forever sono materiali le suggestioni del cantautore siciliano. Non in maniera superficiale, come può essere successo per esempio ne “Il vangelo di Giovanni“. C’è lo stigma universale dei grandi e c’è sicuramente un approccio riconducibile a  lui.  È l’intenzione, il mondo che si manifesta dietro a questo lavoro, che è riconducibile alla grandezza del Maestro. La volontà di scrivere un album che potesse pensarsi come opera d’arte e che facesse del plurilinguismo il punto cardine.

L’idea principale, nello specifico, è quella di sottrarre. Dopo l’overdose di pop massimalista dei due volumi de L’Amore e la violenza, andare a togliere è sembrata la scelta più complicata e per questo quella da seguire. Pianoforte e archi. Niente di più. Al centro la sua voce (sempre di stampo De Andrè) che si alterna con quella di altri artisti. Da Rufus Weinwright (che si esibisce in un ottimo italiano in “Andante”) a Kazu Makino, passando per Eleanor Friedberger. Fino a  Hindi Zahra, con cui Bianconi duetta in lingua araba – questa è forse la cosa più Battiato che potesse pensare di fare, il suo personale Concerto di Baghdad.

Forever è il fratello maggiore di Fantasma. Ne è l’evoluzione. “Il bene” e “Nessuno”, esempio più  facile, nascono dallo stesso seme. Con i Baustelle, aveva iniziato una ricerca di un certo tipo, che provasse a fare delle sue canzoni un recital con orchestrazioni. Musica classica moderna. Rimanendo, però, sempre ancorato a scelte di derivazione pop (“Gli spietati“, per esempio).  Oggi riesce a compiere, invece, quell’inversione a U e a rendere completo un discorso iniziato sette anni fa e lasciato fermentare con pazienza e cura.

Il risultato di quest’attesa è un lavoro che è un monumento all’intimismo, enorme nella sua sensibilità, necessario in questi tempi.

 

 

 

 

LA CRITICA - VOTO 8/10

Francesco Bianconi scrive un grandissimo album. Con “Forever”, il leader dei Baustelle punta di diritto i più grandi autori italiani di sempre.