Flanerí

Libri

Il vaso di Pandora

“Lontano da casa” di Enrico Pandiani

di Fernando Coratelli / 24 marzo

Si può scrivere un thriller con l’intenzione di andare al di là del genere e provare a raccontare l’animo umano e il presente storico, rendendo così questo noir un romanzo civile? La risposta è sì, anche se non è affatto facile; Enrico Pandiani ci riesce nel suo nuovo romanzo Lontano da casa (Salani, 2021).

La storia comincia in una sera d’autunno nella periferia di Torino, nel quartiere Barriera, uno slum metropolitano in cui convergono parecchie storie di disagio e, si sa, «il disagio si accompagna spesso all’emarginazione sociale». Jasmina Nazeri, una donna kurda-iraniana arrivata in Italia da bambina, si trova dei poliziotti sotto casa. Cercano proprio lei. No, non è accusata di alcun crimine, ma le chiedono di seguirli per fare un riconoscimento; infatti lì vicino hanno ritrovato il cadavere di un ragazzo nero, completamente nudo, e chiunque nel quartiere sa che Jasmina insegna italiano proprio agli immigrati, che si dedica ai senzatetto, ai più sfortunati in generale – per cui chi meglio di lei potrebbe magari sapere chi è? La sorpresa per Jasmina è di quelle da shock, difatti a terra c’è Taiwo, un ragazzo nigeriano, che lei non vede da un po’, in realtà da quando avevano troncato la loro breve relazione. Jasmina è sconvolta, resta convinta che Taiwo sia un bravo ragazzo, lo dice a più riprese agli investigatori, non si capacita di quel che gli è accaduto.

Qui entra in scena un altro personaggio, anch’esso femminile, ed è il commissario di zona Pandora Magrelli. A dire il vero non è lei l’incaricata delle indagini, è già stata punita e sbattuta lì in periferia perché i superiori la detestano per via delle sue idee. Pandora infatti è l’esatto contrario di Jasmina: se la ragazza iraniana è accogliente, inclusiva e spinta a comprendere le ragioni altrui, la commissaria Magrelli è profondamente arcigna, intollerante e sprezzante nei confronti di immigrati e neri, che si ostina a chiamare negri. Come dicevo, non è lei l’incaricata delle indagini, eppure percepisce che c’è qualcosa che lega quell’omicidio a una vecchia indagine di Pandora. Così decide di seguire il caso, e trascina con sé Jasmina.

Seppure la ragazza iraniana si mostri riluttante, e non solo per il carattere malmostoso della commissaria, finisce col lasciarsi coinvolgere, e nasce un rapporto fra le due. Pandiani ne approfitta per mettere in scena alcuni dialoghi spiazzanti e veristi, tra due persone che più diverse e lontane tra loro non potrebbero essere. L’odio razziale di Pandora assume toni sarcastici e provocatori, mentre Jasmina non perde occasione per punzecchiare la commissaria su quelle idee che l’hanno relegata proprio in quella periferia che odia. Intorno a loro, nel frattempo, si muove un’umanità variegata e disagiata, quell’umanità che spesso non vogliamo guardare o che giudichiamo attraverso semplificazioni che ci mettono in pace, che si sia aggressivi come Pandora o inclusivi come Jasmine. Qui esce la bravura di Pandiani: rimane un narratore esterno equidistante, che non forza mai la mano né da un lato né dall’altro, e che anzi ci tiene a mostrare la complessità per nulla schematica di quel disagio da slum.

Rom, nigeriani, prostitute e transessuali, clochard, ma anche anziane donne della media borghesia abbandonate in case di riposo da figli troppo presi da se stessi, sono lo sfondo su cui Pandora e Jasmina si muovono per risolvere il mistero della morte di Taiwo, cui fa seguito un’altra in circostanze assai simili. Come di consueto ciò che appare visibile agli occhi resta l’emarginazione, l’emarginazione come unica causa dell’insicurezza sociale, mentre sotterranei si muovono interessi e commerci illeciti, quelli che per davvero sparano e uccidono convinti di restare impuniti, proprio perché l’attenzione pubblica è focalizzata e indirizzata su problemi diversi.

Pandora per prima ne sarebbe la dimostrazione, anche se il suo forte senso di giustizia e di Stato la spingono, nonostante tutto, a scoperchiare (nomen omen) una realtà molto più complessa e intricata. Jasmina invece tira avanti per la sua strada, non vuole perdere fiducia in un mondo migliore, migliore perlomeno di quello da cui arriva. Del resto «gli immigrati pensano molto, tutti quelli che hanno alle spalle un destino brutto, o segnato, o difficile pensano molto. Sognano a occhi aperti di cambiare vita, di non finire nei guai, di non farsi rimandare indietro, di non morire». E in queste parole Enrico Pandiani getta le basi dell’intera architettura narrativa del romanzo perché, immigrati o no, ritengo sia la realtà di chiunque viva un disagio economico e socioculturale.

Lontano da casa ha un incedere in crescendo, una prima parte molto più posata e riflessiva, la seconda più sincopata e ansiogena, con ritmo da thriller qual è mentre ci si avvicina alla soluzione del caso. Pandiani è un veterano del genere noir e del thriller e non casca mai in errori procedurali, né tantomeno in quei dialoghi improbabili per spiegare a noi lettori le indagini interne degli investigatori. È sempre misurato nella lingua, non esagera mai con l’eleganza che talvolta potrebbe alzare troppo il registro stilistico e far perdere presa, ma neanche si appiattisce sulla lingua procedurale e talvolta ripetitiva di tanti romanzi di genere. Sa usare i cliché e smontarli, sa spiazzarti senza mai sorprenderti alle spalle, perché pone il lettore frontale alla storia, eppure come un prestigiatore riesce a nascondere la carta vincente pur lasciandotela sotto gli occhi.

 

(Enrico Pandiani, Lontano da casa, Salani, 2021, 400 pp., euro 16,80, articolo di Fernando Coratelli)