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Musica

La prima volta di Vasco Brondi

Paesaggio dopo la battaglia

di Luigi Ippoliti / 26 maggio

La storia di Le luci della centrale elettrica è ufficialmente finita. In parte lo era già, da Costellazioni. In maniera ufficiosa. I compromessi raggiunti con il terzo album e la mediocrità di un lavoro come Terra erano sintomo che qualcosa si era spezzato, che qualcosa stava già cambiando. Via Le luci della centrale elettrica, ecco Vasco Brondi e Paesaggio dopo la battaglia.

I primi due album (Canzoni da spiaggia deturpata e Per ora noi la chiameremo felicità) sono stati delle folgorazioni nella musica italiana, due  pietre angolari all’interno di un sistema che stava mutando e che sarebbe cambiato radicalmente in pochissimo tempo. Ultimo afflato di un mondo che stava scomparendo.

Che lo si odi o lo si ami, è impossibile non riconoscere in Brondi un posto fondamentale musica italiana, la sua scomposizione della realtà, del suo lessico, la capacità di rimodellare, di elasticizzare il modo di raccontare la vita e le sue esperienze, la politica mischiata con le miserie delle esistenze individuali, l’incomunicabilità, le metafore e le immagini che descrivevano il tutto in una iper dimensione; una chitarra che non sembrava solo una chitarra e un’architettura musicale secca, quasi austera, cupa.  Colonna sonora di una distopia che sembrava imminente. Non c’era e non c’è nessuno che sia riuscito a fare quello che ha fatto Le Luci della centrale elettrica nel modo in cui l’ha fatto Le Luci della centrale elettrica.

Vasco Brondi non potrà più avere quel peso specifico che ha avuto con i suoi primi due lavori: un passato è cristallizzato e messo nei libri di storia. In quel momento era riuscito a raccontare e a raccontarsi con dei codici nuovi,  captando un tempo e uno spazio che ancora non c’erano, e che ancora non ci sono,  figlio di una tradizione musicale che si metteva di traverso nei confronti di quello che era il qui e l’ora.

Poi è arrivata una stabilizzazione, una normalizzazione, il compromesso palese con il mercato: Costellazioni con dei momenti simil Coldplay post X&Y, che cozzavano con quello che Le luci erano e rappresentavano, per poi precipitare in Terra. Lo si vedeva anche dai suoi live: dalla postura con la chitarra prima, alle corse alla Chris Martin poi. Vasco Brondi non era più Le luci della centrale elettrica e Le Luci della centrale elettrica non poteva più esistere.

Non fare un discorso di continuità tra Le luci e Vasco Brondi è, comunque, impossibile. Paesaggio dopo la battaglia non arriva a caso, non è scisso da quello che è stato, è figlio di tutta la sua esperienza, ed è un racconto dove sono state bilanciate in maniera funzionale le due fasi. Non è più evidente quel fuoco degli esordi, ma non sembra vagare senza sapere il dove e il come, appigliandosi quasi unicamente a input che arrivano dall’esterno – vedi mercato.

Ci abbracciamo” è l’esempio più evidente di una nuova capacità di scrivere un pezzo che possa avere delle componenti più immediate senza essere smaccatamente venduto. Tutto l’album oscilla in un mood malinconico in cui  possiamo riconoscere la materia primordiale di Brondi, dove solo raramente emergono delle dissonanze di cui non si sente la necessità  (il coro da stadio che caratterizza “Mezza Nuda“).

Ci sono momenti alla De Gregori (“Paesaggio dopo la battaglia“). Singoli esperimenti dove certe pulsioni degli esordi tornano prepotenti (“2600 giorni” e soprattutto “Chitarra nera“, brano migliore di tutto l’album), per poi accontentarsi di alcune soluzioni  (“Due animali in una stanza“, che ha un certo andare che ricorda Dimartino, o “Luna crescente“), o momenti addirittura corali come il walzer “Adriatico“.

Paesaggio dopo la battaglia è un album che ci restituisce Vasco Brondi su buoni livelli e che ci ricorda perché rimane uno dei personaggi fondamentali della musica italiana. Questo cambio di muta è un passaggio fondamentale su cui ricostruire una carriera che stava prendendo una strana direzione.

LA CRITICA - VOTO 7/10

Buon album “Paesaggio dopo la battaglia”. Vasco Brondi riesce a fare meglio degli ultimi due de Le Luci della centrale elettrica, ma non riesce ad arrivare alle vette di “Canzoni per spiaggia deturpata”  e “Per ora noi la chiameremo felicità”.