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Libri

Il significato del sangue

“Libro del sangue” di Matteo Trevisani

di Claudio Bello / 8 novembre

Quello di Matteo Trevisani è uno dei percorsi più interessanti nel panorama editoriale degli ultimi anni. Lo scrittore marchigiano ha dato vita a un universo narrativo coerente pur nella sua atipicità, in bilico tra verità e artificio, presente e passato (ma anche futuro); nella sua poetica sono soprattutto il mondo tangibile e quello simbolico a ingarbugliarsi, seguendo però strade poco battute, distanti da un’idea classica di realismo magico. Trevisani ha indagato infatti i temi della magia, dell’astronomia, dell’alchimia e della genealogia, cioè i suoi temi, o meglio le sue ossessioni, come risulta chiaro dalla lettura dei libri; ha valorizzato insomma un patrimonio narrativo che – per quanto sconfinato e letterario per definizione – è praticamente sconosciuto a un pubblico mainstream. Con Libro del sangue (Atlantide Edizioni, 2021) si chiude idealmente un trittico composto da Libro dei fulmini (2017) e Libro del Sole (2019), una trilogia anomala in un contesto come il nostro tanto schiacciato su un certo modo di raccontare la realtà.

Il preambolo di Libro del sangue è spiazzante: nel settembre 2021 Matteo Trevisani riceve una mail da un mittente sconosciuto; in allegato c’è un albero genealogico della sua famiglia, leggermente diverso da quello che il protagonista – genealogista lui stesso – ha costruito in molti anni di studio e ricerche. Inoltre, particolare inquietante, quest’albero riporta le date di alcune morti non ancora avvenute. Tra queste, quella dello stesso Matteo: 21 settembre 2021, di lì a una manciata di giorni. All’inizio Matteo pensa si tratti di uno scherzo; poi, però, uno dei dettagli dell’albero si rivela tragicamente corretto, e su La Lettura esce un misterioso articolo a suo nome che parla di una carcassa di un qualche “mostro marino” arenatasi su una spiaggia nelle vicinanze di Ostia Antica. Non è un caso, visto che la balena è il simbolo della famiglia Trevisani e della loro maledizione, che decreta che tutti i primogeniti di ogni linea di sangue muoiano in un naufragio. Matteo decide allora di riallacciare i contatti con Giorgia, la figlia di Alvise, suo vecchio maestro di genealogia morto qualche tempo prima.

È il preludio di un’indagine da romanzo giallo, ma questo non è altro che un primo livello interpretativo. La lotta contro il tempo del presente – che ha il ritmo del thriller – si alterna infatti ai ricordi di Matteo: la conoscenza con Alvise, anni prima; il tentativo, insieme a lui, di venire a capo del significato della maledizione familiare; la scoperta della genealogia; il rapporto con Giorgia. Si tratta di un vero e proprio racconto di apprendistato, tema tipico dei libri di Trevisani, che ha già narrato storie di iniziazione-scontro tra maestro e allievo. Un altro dettaglio comune a Libro dei fulmini, oltretutto, è che il nome del protagonista e quello dello scrittore coincidono. Si tratta della stessa persona? Quanto c’è di vero in questa storia? Sono domande che perseguitano il lettore e che non si risolvono: lo “sdoppiamento” qui non si limita al topos del “doppio” della letteratura fantastica, ma si inserisce in un discorso più ampio di contaminazione dei generi. Ci troviamo di fronte a un “doppio metaletterario”, che collega il fantastico all’autofiction. Autofiction fantastica, potremmo dire allora, un connubio di termini che in effetti spiega dove le storie di Trevisani siano ambientate: cioè in un luogo laterale alla realtà, nascosto impercettibilmente, sconnesso con questa da uno scarto molto piccolo – ma decisivo. In questo “realismo laterale” Matteo Trevisani scrittore e Matteo Trevisani personaggio sono la stessa persona, e due persone differenti.

Le questioni centrali del romanzo sono il tempo e la famiglia, entrambe rappresentate simbolicamente dall’immagine del sangue. Quella di Trevisani è una storia circolare, differita, eternizzante, e si snoda in opposizione al concetto di tempo progressivo come normalmente lo intendiamo. Il tempo in Libro del sangue è elastico nel senso di contaminato: è il passato che agisce ininterrottamente sul presente, che lo influenza e in fondo lo contiene, così come contiene il futuro. In un certo senso, il presente non esiste, se non come compimento del passato e anticipazione del futuro. È il senso stesso dell’idea di “maledizione familiare”: niente muore, e anzi ciò che è stato è sempre vigile, come testimoniano gli avi di Matteo che in alcuni punti del romanzo commentano le peripezie sue e dei suoi predecessori. Sono una voce esterna, perturbante, che ricorda un coro tragico. Gli elementi della tragedia greca, in effetti, sono importanti: nella tragedia le colpe dei padri si tramandano immancabilmente sui figli, ed è proprio questo il vero nucleo di Libro del sangue. Matteo ha appena avuto un bambino; nel corso del romanzo si scoprirà essere nient’altro che un padre che vuole impedire che la maledizione di famiglia (cioè le colpe di tutti i padri) colpisca suo figlio. La genealogia allora non è solo una complessa ricerca per scovare l’origine, ma soprattutto una chiave per svelare un destino. E il destino, ovviamente, si nasconde nella famiglia. Un altro modo per parlare di Libro del sangue sarebbe forse quello di definirlo un romanzo familiare; bisogna accettare però un postulato: la storia di ogni famiglia è quella di una malattia condivisa che si ripresenta instancabilmente.

In un contesto simile, il ruolo della simbologia è decisivo: comprendere i simboli – e con loro i riti – è l’unica maniera di raccontare questa storia, così come lo è per Matteo di risolvere gli enigmi che lo tormentano. Alla genealogia si unisce allora l’araldica, lo studio degli stemmi delle famiglie: della balena si è detto, ma nel romanzo comparirà anche un serpente. I due animali-simbolo dovranno metaforicamente intrecciarsi, stritolarsi, e da questa lotta dipenderà il destino dei protagonisti. Se la genealogia è una scienza che implica la solitudine (ore e ore passate a studiare in archivi o in parrocchie), il suo effetto – forse il suo scopo – sembra essere in realtà quello di trovare relazioni, di dare vita a incontri, e contrasti. Così spiega Alvise a Matteo in un passo determinante del romanzo:

«“Matteo, molti pensano che la genealogia sia un triangolo […]. Ci sei tu, i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi bisnonni, e così via. Ma se questa fosse una legge esatta risalendo indietro al tempo della Repubblica romana avresti più progenitori di quante persone siano vissute sulla Terra. La vertigine è capire che queste non sono persone uniche, e che a un certo punto il triangolo si interrompe, si restringe. I tuoi avi si mescolano l’uno con l’altro, e una madre è la madre di due linee o di tre e i padri sono sempre gli stessi, i cognomi gli stessi, il sangue lo stesso. Si chiama punto di decadimento genealogico”».

I simboli allora non sono entità fisse ma in movimento, così come la famiglia, luogo che per eccellenza è in divenire e cioè in lotta. Eccoci di nuovo alla famiglia, e al sangue, che d’altronde è anche il simbolo della violenza. La famiglia è insomma una ferita che il tempo non rimargina, ma continua a far sanguinare.

 

(Matteo Trevisani, Libro del sangue, Atlantide Edizioni, 2021, 224 pp., euro 16, articolo di Claudio Bello)