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Libri

Il ciclo di Dalio sui tornanti della storia

“I principi per affrontare il nuovo ordine mondiale” di Ray Dalio

di Diego Vanni Macaluso / 20 ottobre

«Che la forza dell’evoluzione sia con voi»: così Ray Dalio scrive nella prefazione, dedicata ai nipoti, della sua fatica I principi per affrontare il nuovo ordine mondiale. Dal trionfo alla caduta delle nazioni, uscito in edizione italiana per i tipi della Hoepli. Se non si fosse tacciabili di blasfemia, leggendone le 530 pagine verrebbe spontaneo rispondere: «E con il tuo spirito». Scherzi a parte, l’opera di Dalio si candida a essere il saggio economico del 2022.

Si ha l’impressione che I principi per affrontare il nuovo ordine mondiale possa essere, o in effetti sarà, interpretato come la risposta dell’establishment al best seller di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo, che alla sua uscita parve dare nuova linfa, e munizioni, a chi si opponeva al mainstream economico. Non a caso il libro di Dalio, uno degli uomini più ricchi del mondo, considerato il re degli hedge fund, è accompagnato da un’osservazione di Bill Gates.

Con la sua opera, l’autore fa lotta di classe. Marx è citato fra le letture necessarie assieme ai filosofi greci e orientali, e da parte sua Dalio difende il capitalismo ma allo stesso tempo evita le trappole del moralismo e dell’autocompiacimento. Impossibile non rimanere ammirati dalla sua capacità di condensare secoli di storia economica, dati, fatti e osservazioni in un solo volume. Anche il lettore digiuno dei temi trattati troverà illuminanti, per esempio, le pagine sull’ascesa e la caduta dell’Olanda nel Settecento, e apprezzerà lo sforzo che l’autore profonde per stendere un filo rosso attraverso il magmatico contenuto del manuale. Tuttavia, lo scotto da pagare, soprattutto nelle pagine centrali, è il tono a tratti messianico di Dalio: non saremmo sorpresi di leggere da un momento all’altro un «In verità vi dico» o un «Va’ e non peccare più».

Ray Dalio ha appena ceduto il controllo di Bridgewater associati, una delle più importanti società di gestione di portafogli privati del mondo, da lui fondata. E il suo libro è un curioso ibrido: trattato di storia economica, manifesto politico, libro di memorie (le primissime pagine, in assoluto le più felici) e “sussidiario” per chi volesse sapere dove investire i propri risparmi. Già, perché Dalio invita i lettori a “fare i compiti”, offrendo loro la sua esperienza e un metodo di analisi. Dopo decenni consacrati alla più esasperata specializzazione accademica, qui gli economisti e gli analisti finanziari sono esortati ad alzare lo sguardo. Trovarsi nel bel mezzo di processi storici senza capirlo è secondo l’autore un peccato mortale, oltre che un pessimo servizio reso a un cliente che ha affidato loro i propri risparmi. Dalio incoraggia gli operatori economici a interessarsi di geografia, di storia, di antropologia, di filosofia e sociologia, ammettendo di aver avuto il privilegio di ricevere informazioni di prima mano da parte di capi di stato, ministri, banchieri; ma allo stesso tempo rivendica la capacità di averle sapute calare all’interno di una lettura complessa e di lungo periodo degli eventi.

Dal punto di vista accademico l’invito di Dalio dovrebbe essere preso al volo soprattutto nel nostro paese. La patria di Becattini, Napoleoni e Sylos Labini, economisti che avevano le caratteristiche menzionate da Dalio, da anni vede i dipartimenti e le facoltà di economia progressivamente monopolizzate da una visione aziendalista gretta e di corto respiro.

L’approccio di Dalio alla storia e all’economia è semplice: entrambe sono cicli. Se si impara il meccanismo interpretativo si può capire a che punto del ciclo siamo e intraprendere le misure opportune per i nostri risparmi e i nostri investimenti. Se per Vico la storia era fatta di corsi e ricorsi guidati dalla divina provvidenza, per Dalio a guidarla è il debito. Per dimostrarlo analizza le vicende storico-economiche dei grandi imperi del passato e del presente, concentrandosi sull’ascesa, la crescita, il consolidamento e la decadenza. Con un’osservazione sinottica Dalio estrapola i 18 fattori determinanti. Conscio della confusione che questa terminologia potrebbe ingenerare nel lettore, specifica la differenza fra il fattore, inteso come elemento, e il ciclo, insieme di fattori che si autoalimentano; tuttavia Dalio precisa anche che il ciclo è “in sé” un fattore determinante. Con la caratteristica di ripetersi nel tempo. Proprio la capacità di scorgere i fattori permette di capire a che punto del ciclo ci troviamo. Alla loro accurata descrizione è dedicata un’ampia sezione del volume, in cui l’apparente esattezza della formulazione lascia trasparire qua e là punte di determinismo.

Un aspetto meritorio dell’opera è quello di non lasciare cadere i singoli argomenti ma riprenderli e svilupparli, dando al lettore la possibilità di adoperarli per cambiare il punto di vista. Ad esempio, inquadrando il ciclo all’interno di una vicenda nazionale, possiamo capire se il paese in cui viviamo è in ascesa, in stasi o in decadenza.

Non è un’idea originale quella dei cicli. Senza scomodare Vico, troviamo, nel corso dei decenni, altre teorizzazioni economiche. Proprio dal punto di vista economico tale visione non si limita alla sola ortodossia capitalistica alla quale Dalio appartiene. Una rigorosa teorizzazione dei cicli economici, che subito viene alla mente scorrendo queste pagine, è quella esposta da Kondrat’ev, economista sovietico, nei primi anni Venti. Il sospetto che Dalio lo abbia letto almeno in parte è forte.

Kondrat’ev, che pur avendo aderito alla rivoluzione di Ottobre non fu mai un marxista in senso stretto, coniò il termine «onde lunghe», più suggestivo di «cicli», con il quale, tramite modelli statistici e matematici, cercava di interpretare le dinamiche di lungo periodo dell’economia capitalista, uscendo da una stretta lettura della dialettica della lotta di classe. Questo “formalismo”, accusa polisemica e terribile nell’Urss d’anteguerra, gli venne rimproverato da Trockij con articoli polemici oltre che, più tragicamente, nell’epoca staliniana. Kondrat’ev scomparve infatti durante le purghe degli anni Trenta.

La lettura “classica” delle fasi di sviluppo e recessione svolta nello stesso periodo da Schumpeter è arricchita da Kondrat’ev con l’idea che tali fasi, nell’economia capitalistica, non siano legate a semplici fluttuazioni dovute a contingenze di breve periodo, ma tendano invece a ripetersi nel corso dei secoli e che siano connaturate al capitalismo stesso.

Kondrat’ev si spingeva anche più in là di Dalio, quando affermava che i cicli “normali” di espansione hanno una durata compresa fra i sette e gli undici anni, ma che ne esistano altri, più lunghi, che possono arrivare fino ai 50 anni. Se proprio questo determinismo gli venne rimproverato da Trockij, alcuni elementi di Kondrat’ev sono stati recuperati da economisti non marxisti né eterodossi per illustrare le Trente Glorieuses francesi, o l’espansione economica italiana, giapponese e tedesca del secondo dopoguerra.

Se il piatto forte di Dalio è il ciclo economico, altri capitoli del libro sono consacrati a una teorizzazione politica del pensiero economico dell’autore. Ed è forse la parte più debole. Non solo perché chi scrive non ne condivide la visione, ma perché l’osservazione, che si vorrebbe rigorosa, è invece palesemente influenzata dall’ideologia dell’autore. Dalio è scettico sull’interventismo statale, crede che la funzione principale della spesa pubblica sia finanziare generosamente il sistema educativo, le infrastrutture e la ricerca scientifica, in un’ottica di lungo periodo. In questo, peraltro, traspare un’ammirazione per la Cina, che pur avendo un sistema politico che l’autore non sembra condividere, o paradossalmente proprio per questo, è capace di programmare oltre le scadenze elettorali e la volatilità dell’opinione pubblica. Per Dalio l’emergere dei “populismi”, in cui disinvoltamente accomuna destra e sinistra, è sintomo di una crisi più ampia della società e dell’economia. L’autore ne inquadra le ragioni di fondo sempre nell’ottica dei cicli, ma tralascia i rapporti di forza degli attori in campo. E gli interessi che essi difendono.

Più lucida è la parte in cui si sostiene che più un sistema è in crisi più sarà tentato di esportare la sua crisi attraverso un conflitto. Questo vale anche per difendere un’egemonia declinante. Se Dalio aveva in mente un confronto fra Cina e Usa, con questi ultimi in fase discendente, la vicenda ucraina ha poi reso ancora più attuale la sua osservazione.

La parte finale del libro è una lettura delle prospettive economiche dei grandi paesi, condotta attraverso i diciotto fattori: Dalio “fa i tarocchi”. È significativo notare che fra i grandi paesi mette la Spagna ma non l’Italia, citata di sfuggita nel libro e sempre come comparsa, spesso negativa, di cicli altrui. Alla luce della sua visione dell’economia e dei cicli, l’autore probabilmente non ci considera più un “grande paese”. Ed è francamente difficile dargli torto.

Chi condivide le idee di Dalio troverà una preziosa scatola degli attrezzi per replicare a narrazioni della crisi che non condivide. Chi non le condivide è costretto però a ragionare sulla sua lunghezza d’onda e a interrogarsi su punti di vista originali. In definitiva, è certamente un libro da leggere, anche se non gli si può non muovere un appunto: l’assenza di una bibliografia. Un’opera così rilevante dovrebbe averne una. E anche cospicua.

 

(Ray Dalio, I principi per affrontare il nuovo ordine mondiale. Dal trionfo alla caduta delle nazioni, trad. di Ilaria Katerinov, Hoepli, Milano 2022, 538 pp., euro 24,90. Articolo di Diego Vanni Macaluso)