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Libri

“Cacciatori di frodo” di Alessandro Cinquegrani

di Chiara Gulino / 26 settembre

Un uomo con la sua «nuvola di acerbe espiazioni al guinzaglio», tutte le mattine prima dell’alba, esce dalla casa cantoniera per andare a riprendere sua moglie sdraiata su un binario ferroviario subito dietro una stretta curva. Sono dodici chilometri suppergiù. L’uomo cammina facendo attenzione a mettere bene i piedi sulle traversine per non rovinare le scarpe nuove, ultimo status symbol di un’agiata esistenza borghese dissoltasi un giorno, in un attimo.

Sua moglie Elisa, dalla pelle diafana e in camicia da notte, da quel momento non parla più e ripete quell’insensato gesto tutti i santi giorni da quando si sono trasferiti in quel luogo. Si distende e aspetta. Aspetta che il treno arrivi e «che le faccia rotolare la testa giù dall’argine e nel fiume». Il binario è però un binario morto. Come Elisa. Il suo corpo vive, respira, avverte il freddo e il caldo ma la sua coscienza è completamente imprigionata dietro la barriera impenetrabile del suo mutismo.

Lì vicino mormora un fiume colmo di echi storici di guerra dove hanno trovato il loro nascondiglio i cacciatori di frodo. Questo è il paesaggio che fa da cornice alla storia di dannazione dai risvolti biblici che Alessandro Cinquegrani racconta nel suo romanzo d’esordio Cacciatori di frodo, edito da Miraggi Edizioni e finalista al Premio Calvino.

Come in un girone infernale ogni personaggio ha qualche colpa da espiare. Condannato dal destino, Augusto, questo il nome del protagonista, si ritrova dall’oggi al domani senza più nulla, la fabbrica, la famiglia e le sue certezze: «…la mia vita, penso, è sempre stato uno scadenzario di passività, penso, in tutta la mia vita non ho fatto che subire il destino, che galleggiare e sopravvivere nello spazio che mi era concesso, senza alzare i gomiti, penso, e forse il mio onesto lavoro, il mio onesto badare onestamente alla mia famiglia, non è stato che un modo per non fare di più, per non compromettermi di più, penso, e fare soltanto quel poco per galleggiare nella medietà».

A mano a mano che percorre il binario morto, l’uomo si dibatte in pensieri funestati da eventi tragici e si imbatte in fantasmi che assumono le sembianze di un padre nazifascista, una madre cattolica e un fratello gemello comunista con cui la memoria fatica a fare i conti: «Eppure, penso scotendo impercettibilmente la testa, eppure, se non avessi avuto un padre nazifascista e un fratello comunista e una madre cattolica, e non ci fosse stato il prete pedofilo, e non avessi avuto la vita di merda che hai avuto, penso mentre scuoto impercettibilmente la testa e bado a mettere i piedi sulle traversine di legno del binario morto, se tutto non fosse andato come è andato, penso mentre percorro il binario morto della ferrovia con la mia nuvola al guinzaglio, se tutto non fosse andato come andato, penso, eppure non penso io che ognuno debba farsi da sé, che ognuno è responsabile del proprio destino, che con tanti piagnistei col cazzo che ti tiri su un inceneritore di pneumatici che viene il ministro a visitarlo, se dai sempre la colpa agli altri, no, dipende da noi se va tutto bene o va tutto male, dipende solo da noi, penso, e dipende da me, e questa volta dipende davvero da me, penso mentre percorro il binario morto, dipende solo da me se siamo qui, con quello che ho fatto, con tutto quanto di atroce, io, ho fatto.»

Cacciatori di frodo è un romanzo troppo spiazzante per non venirne invischiati senza il rischio di uscirne un po’ cambiati. Una scrittura ruvida, insidiosa, ossessiva, consapevolmente disattenta alle ripetizioni riesce nell’intento di ricreare il tortuoso e ondivago fluire dei pensieri che affollano la mente umana così come affiorano, prima di comporsi in frasi logicamente compiute, come nella migliore tradizione del monologo interiore joyciano. Si entra direttamente all’interno della prospettiva del protagonista dove la sua logica ci aiuta a comprendere ciò che dall’esterno sarebbe assolutamente ingiustificabile. Si viene così messi in fronte all’assurdità dell’esistenza, al suo abito stazzonato e grottesco e all’insensatezza che la pervade nell’indifferenza generale.

(Alessandro Cinquegrani, Cacciatori di frodo, Miraggi Edizioni, 2012, pp. 112, euro 12,50)