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“La fila indiana” di Ascanio Celestini

di Luca Errichiello / 29 novembre

Che Ascanio Celestini avesse scelto di cestinare le narrazioni dall’interno di eventi e situazioni storiche lo si sapeva. È ormai palese da tempo che l’attore romano preferisca dedicarsi ai brevi frammenti semi-surreali di chiaro impatto televisivo. Ciò che giunge nuovo è il suo definitivo collocarsi nel teatro che ripete se stesso. Come la fatidica fila indiana di individui omologati descritta da Celestini, i suoi spettacoli si collocano uno dietro l’altro senza sostanziali variazioni di tema e registro. È così che Il razzismo è una brutta storia, spettacolo di qualche anno fa, si ricicla in La fila indiana, che quest’anno viene proposto dal teatro Augusteo in una rassegna dal nome Le parole e il potere. In tempi di crisi ci si ricicla e i vecchi spettacoli possono tornare utili anche su un palcoscenico dagli interessi solitamente diversi. È così che Celestini si mette in fila indiana. La lunga fila indiana degli attori in crisi che parlano della crisi (altrui o propria) con il linguaggio della crisi. Si parla a quegli spettatori che, evidentemente nauseati dalle istanze della fila indiana del potere, scelgono la fila indiana di quella sorta di anti-potere che in Italia fa rima con la fantomatica anti-politica. Qualcuno dovrebbe forse sussurrare che ogni potere si fonda sempre sulla sua apparente nemesi, almeno quanto si fonda su stesso. Invece il teatro di Celestini è purtroppo diventato quel piccolo moto di ripulsa che talora è necessario effettuare per dis-identificarsi con il potere che ogni giorno si finisce per esercitare. È un processo catartico di conferma interiore, più che un’acquisizione di un messaggio sconvolgente, sempre ulteriore a se stesso. Le storie sul razzismo al caffè, sulla discriminazione sul bus, sull’Africa come giardino incolto da osservare al sicuro, da una parte sembrano smascherare i tiepidi razzisti italiani, ma dall’altra danno loro un porto sicuro in cui riposare indisturbati, quello con l’insegna dei democratici, dei moderati. Celestini è purtroppo diventato un gadget dell’anti-potere, una pillola serale da assumere per rilassarsi dopo l’esercizio di razzismo quotidiano. Un meccanismo esattamente analogo al “rilassati, respira” delle televisioni che Celestini evidenzia. Non fa niente che i pezzi dell’attore sul palco siano datati, che la loro struttura si ripeta ogni volta, perennemente uguale, perché, in definitiva, le parole non contano, conta andare a vedere Ascanio Celestini e magari ostentarlo il giorno dopo al bar. Le parole e il potere, si diceva. Ma se le parole non contano, cosa rimane sul palcoscenico?

 

La fila indiana
di Ascanio Celestini

Andato in scena al Teatro Augusto di Napoli il 5 novembre 2012.