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“Il quaderno perduto di Agatha Christie” di Jacopo Bezzi

di Matteo Chiavarone / 19 dicembre

Pensavo che la mia preparazione sul giallo si fermasse alla signora Jessica Fletcher, eroina indiscussa delle mattinate televisive a casa per vere o presunte influenze che rimandavano a quel tanto agognato “oggi niente scuola”. O al Cluedo, tra amici, soluzione estrema di serate con ragazze per cui (giustamente?) erano indigesti il Risikoo lo Scarabeo.

La dimora Tudor Hall me la sono immaginata per anni; avevo davanti gli occhi ogni stanza, ogni personaggio british style di questo imperituro gioco. Ecco quindi il colonnello Mustard e la signora Scarlett con le armi del delitto in mano, un apparente innocuo candelabro o una argentea rivoltella. «So chi è l’assassino», chissà quante volte l’avrò detto (poche), chissà quante volte l’avrò sentito dire (molte, anzi troppe).

Poi è arrivato Soriano con il suo Marlowe «triste, solitario e finale» a cui manca il morto e a cui rimane solo la farsa della morte, nessun mistero ma soltanto la ridicolezza, l’irriverenza e la teatralità del saluto finale. Perché è con la parodia, con la presa in giro, con il rivoltare tutto che in fondo si capisce realmente un genere.

Infine ti dicono, una sera d’Inverno: «Vieni a vedere il nostro spettacolo» e ti dicono di cosa si tratta ma tu non ascolti e ti ritrovi ad accettare, senza sapere a cosa stai andando ad assistere (percepisci che è qualcosa su Agatha Christie), tanto ti fidi di uno degli attori, l’attrice Nicoletta La Terra, perché l’hai vista all’opera e sai che è brava davvero. E aggiungono pure: «Arriva presto, non all’ultimo, non ti fanno entrare». Tu non capisci il motivo ma cerchi di arrivare puntuale nonostante Roma, il traffico, il natale che incalza ed eccoti alla Lungara, vicino al carcere, sulla coda di Trastevere a cercare via della Penitenza, prima, il teatro poi. E credi di trovarlo subito ma quando tentenni di fronte al cartellone dello spettacolo ti capiscono, ti scrutano e ti dicono: «Esca, questo è l’Agorà, Stanze Segrete se lo trova uscendo sulla destra». 

E così ti avvicini mesto, per paura di sbagliare e ti ritrovi in un teatro che non è teatro ma che proprio per questo odora di vita e di reale. C’è una stanza ammobiliata, niente palco, scruti la scrivania, una scala e il ritratto della regina indiscussa del genere giallo. Per sederti fai slalom tra le sedie, cercando di passare inosservato, ti metti dietro, pensando che qualcosa non quadra. 

Un po’ in ritardo – complice un ragazzotto che non aveva capito l’antifona di non arrivare all’ultimo – comincia tutto e ti ritrovi all’interno della storia e capisci già che qualcosa deve succedere, un morto ci deve pur stare, altrimenti manca il sale. Ma bisogna aspettare, prima c’è il tempo delle presentazioni: due editori, soci, maschio & femmina, lui un po’ tonto, lei avveduta, si ritrovano in un luogo imprecisato – distaccato però dalla città – e in una locanda che locanda non è, ma un museo. E sta chiudendo.

Ma di che museo si tratta? Ecco il punto. Un museo che commemora la figura di Agatha Christie. Qui anni prima passò, dimorò e forse scrisse un diario, un quaderno, il tredicesimo. Quello mancante nella “personale bibliografia” della scrittrice.

Ad attenderli c’è Gioele Ferretti, il locandiere, colto e raffinato, che li accoglie bruscamente per poi ammorbidirsi, in parte, quando spiegano le loro intenzioni. Una chiamata anonima li ha portati lì, promettendogli la via aurea del ritrovamento (gran pubblicazione sarebbe).E qui inizia il giallo. E il mistero. Classico temporale e isolamento del telefono. Qualcuno taglia i fili della batteria della macchina. Si cercano i colpevoli, entrano di soppiatto altri personaggi. Un ragazzone alto che prima parla poco poi si capisce che ci capisce, scusate il gioco di parole, e una bionda che pare scema ma tanto scema non è neanche lei.

I convenevoli non sono dei migliori ma fuori piove e bisogna pur mangiare e dormire e fuori (naturalmente) è tutto chiuso e disabitato. Si dividono le stanze e in una eccolo là, il morto. Al piano di sopra c’è un tizio con un buco in fronte seduto sul divano. Qui gatta ci cova, bisogna trovare l’assassino. Ma dove va cercato? Dentro o fuori?

Noi da qui, solo appena fuori dalla stanza, vediamo tutto e osserviamo le reazioni dei personaggi. Poi ognuno chiede all’altro e sappiamo di tutti e tutto (compreso del museo che visitatori non ne ha molti, anzi nessuno). Si parla del quaderno e, guarda caso, iniziano a essere interessati tutti alla materia. Esiste o non esiste? Qualcosa esce fuori, anche grazie al locandiere factotum (attore bravissimo tra l’altro) e al ruolo che tutti, volontariamente o meno, hanno in questa storia. Poi come in un meccanismo cinese si scopre che la realtà che vediamo noi è un po’ diversa, che c’è dell’altro e un po’ tutti nascondono qualcosa.

Quando finisce il tutto e si può indirizzare l’indice verso uno di loro, si sente il tanto sospirato «lo sapevo». Io no: il mio assassino era diverso e sono felice di questo. Non mi sono tolto la sorpresa.

Il quaderno perduto di Agatha Christie è un bello spettacolo, buona l’idea, la rappresentazione e bravi gli attori (Massimo Roberto Beato, Nicoletta La Terra, Silvia Mazzotta, Lorenzo Venturini, Giacomo Rabbi). Bella anche l’aria che si respira quando si entra nel teatro (casa?), che sa di qualcosa che è fatto con il cuore, l’impegno e la capacità. Ci si diverte e molto perché i condimenti funzionano alla perfezione. Peccato, forse, che si vada un po’ di corsa nel finale: quelli come me hanno bisogno di tempo per sbagliare varie volte il tanto agognato autore del misfatto.


Il quaderno perduto di Agatha Christie
regia e sceneggiatura di Jacopo Bezzi
con Massimo Roberto Beato, Nicoletta La Terra, Silvia Mazzotta, Lorenzo Venturini, Giacomo Rabbi, Eugenio Marinelli.

Dal 4 al 23 dicembre 2012 presso il Teatro Stanze Segrete, via della Penitenza 3 (zona Trastevere), a Roma.