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Libri

Voland: a tu per tu con Daniela Di Sora

di Chiara Fratantonio / 23 gennaio

Per concludere il nostro viaggio DietroLeQuarte di Voland abbiamo chiacchierato con l’editore Daniela Di Sora. Seduta a un tavolo di legno tra pareti piene di libri, Daniela mi ha raccontato un po’ della sua storia, della storia di Voland e tante curiosità su autori, traduttori e traduzioni.

Per la nostra rubrica DietroLeQuarte, questo mese ci siamo occupati della vostra casa editrice. Abbiamo raccontato la vostra storia (qui), abbiamo provato a interpretare le vostre scelte, abbiamo esplorato nel dettaglio la vostra nuova collana Sirin Classica (qui), nata nel 2010 in occasione del vostro quindicesimo compleanno. L’impressione che abbiamo avuto è che il vostro successo e i premi che avete ricevuto (nel 1999 il Premio alla Cultura della Presidenza dei Ministri e nel 2003 il Premio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali), nasca da una scelta coraggiosa, quella di pubblicare in Italia autori che non hanno ancora trovato spazio o opere minori rimaste nascoste al grande pubblico. Come ci si sente adesso che la scelta si è rivelata vincente?

All’inizio, come forse sapete, volevamo occuparci solo di letterature dei paesi slavi. A onor del vero abbiamo un po’ aggiustato il tiro affinché questa scelta si rivelasse vincente: c’è voluta un po’ di elasticità mentale perché la rigidità consente pochi movimenti. E così ci siamo un po’ ammorbiditi. Abbiamo mantenuto una collana, Sirin, che si occupa esclusivamente di autori slavi e abbiamo aggiunto Sirin Classica, che si occupa di autori russi classici. Queste sono le due collane essenziali e più vicine al mio cuore; poi ci sono Intrecci, Amazzoni, Confini e l’ultima nata, Finestre, che sta andando anche abbastanza bene. Il progetto è quindi diventato più ricco, più armonico e questo ha portato qualche riconoscimento perché l’idea di fondo, sottintesa sin dall’inizio, della “letteratura di qualità” non è stata mai abbandonata. Ci siamo aperti ad altre letterature, ma sempre ad autori di spessore, la cui opera ha grande importanza nel paese d’origine e che siamo in qualche caso riusciti a imporre anche nel nostro. Come ci sentiamo? Abbastanza soddisfatti. A volte vorremmo che alcuni autori che noi giudichiamo altrettanto validi fossero più venduti e più vendibili. Al di là del riconoscimento teorico c’è il riconoscimento in libreria, che in questi ultimi mesi, non solo per noi, ma per tutto il mondo editoriale, sta un po’ vacillando.

A proposito di successi in libreria… Su www.bookrepublic.it è possibile scegliere tra ventisei dei vostri titoli che sono attualmente disponibili anche in ebook. Il dibattito sulla digitalizzazione dell’editoria è sempre aperto e “caldo”, potremmo fare un’altra intervista e parlare solo di questo, ma le chiedo di riassumere il suo/vostro pensiero a riguardo. Nel vostro caso specifico, come sta andando?

Penso che l’ebook sia uno dei modi di leggere un libro e ognuno è libero di leggere come preferisce. Io preferisco la carta, ma perché appartengo a una generazione che è nata con la carta. Mi diverte, mi incuriosisce sfogliare gli ebook, ma rifletto sul fatto che gli ereader tendono sempre di più a somigliare al libro. Allora fatemi leggere un libro! (ride, ndr) È come se l’oggetto tendesse sempre di più a somigliare al libro. Detto questo, c’è un’innegabile praticità e comodità nel portarsi appresso cento titoli, per esempio, ma io non amo essere disturbata mentre leggo un libro. L’utilizzo degli ebook lo vedo più adatto per opere diverse da quelle di narrativa, opere scientifiche, dizionari, opere che consentono un tipo di applicazione diversa. Per la narrativa, io preferisco la carta, ma la generazione che nasce “smanettando” sarà inevitabilmente attirata dall’ebook e dunque io, come imprenditore, non ho nulla in contrario. Il problema vero è che in un sistema in cui gli ebook prevalgono sul cartaceo sparisce il sistema delle librerie, insieme alla figura del libraio, e va dimostrato che questo sia un vantaggio.

Potrebbero continuare a esistere come centri di cultura forse, questa è l’unica strada alternativa che vedo…

Anche io forse. Per fortuna non stiamo parlando di domani o dopodomani. Oggi anche la professionalità dei librai è sempre più rara e il problema è parecchio complicato. Certo non vorrei ridurmi a comprare quello che mi suggerisce Amazon. L’importante è non leggere, con qualunque mezzo, solo le Cinquanta sfumature di grigio. Poi per il resto vedremo come andrà.
 


 

Vorremmo entrare nell’officina Voland, certi di soddisfare la curiosità dei lettori. Come avviene la selezione dei titoli? Quali sono le linee guida che vi siete dati e che vi hanno permesso di mantenere così alta la vostra qualità?

La selezione dei testi avviene attraverso un filtro stabilito da un certo numero di collaboratori, per cerchi concentrici. Ci sono all’esterno delle case editrici estere con cui ci riconosciamo in simpatia, in coerenza di cataloghi e ci viene quindi istintivo visitare i loro stand nelle fiere più grandi – Francoforte, Parigi, Londra. Andiamo a cercare le case editrici che consideriamo di riferimento e che ci considerano come riferimento. Scegliamo un certo numero di libri, ce li facciamo spedire e li mandiamo in lettura a persone di cui conosciamo il gusto. In diciotto anni di lavoro ci siamo affinati e so che mi posso fidare non solo di un gusto alto, ma del giudizio di persone che hanno capito cosa va e cosa non va nel catalogo Voland. Inevitabilmente questo percorso conduce a me, che alla fine dico: «Questo mi piace, questo no, forse non è il momento ecc». Poi c’è un ulteriore filtro rappresentato dal fatto che noi pubblichiamo 22 titoli l’anno e non sono molti; togliendo un Nothomb, che c’è, per fortuna, tutti gli anni, un Phlippe Djian e Prilepin, di cui abbiamo già acquistato un certo numero di titoli, le scelte, come può immaginare, si riducono. A quel punto i due, tre consiglieri/collaboratori/traduttori delle varie aree contribuiscono con il loro giudizio. Il percorso è un po’ questo, è fatto di destini incrociati.

Tra i vostri successi editoriali, non possiamo appunto non ricordare Amélie Nothomb, scrittrice belga di cui avete pubblicato, a partire dal 1998, tutti i romanzi, alcuni dei quali sono arrivati alla quarta ristampa. Amélie resta fedelissima alla vostra casa editrice. Raccontateci qualcosa del vostro incontro, di com’è nata e come prosegue questa collaborazione.

L’incontro è iniziato in modo molto semplice. Mi trovavo a Parigi, alla libreria Virgin sugli Champs-Élysées e proprio in quel periodo avevo deciso di non occuparmi più solo di autori slavi, quindi orientativamente era la fine del 1995 o l’inizio del 1996. Entro, faccio incetta di libri e tra questi prendo Igiene dell’assassino, che era uscito in Francia nel ’94. Il libro, che poi abbiamo pubblicato nel 1997, mi rapì ed entusiasmò così tanto che decisi di rivolgermi all’Albin Michel, la casa editrice “madre” che detiene i diritti per tutto il mondo; loro mi risposero che avrei dovuto comprare quatto libri, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Io ci pensai un po’ e poi li comprai tutti e quattro. L’atto di coraggio mi è stato riconosciuto da Amélie e si è creata una simpatia personale; lei è una persona straordinaria, divertente, intelligente. Da quel momento per fortuna non ci ha più abbandonato.

La vostra casa editrice si caratterizza per la “bottega di traduzione”, un laboratorio grazie al quale studenti, neolaureati e traduttori professionisti possono confrontarsi con voi, che di traduzioni ve ne intendete eccome! Può spiegarci meglio come funziona e com’è organizzata la vostra “bottega”?

La casa editrice Voland ha una cura particolare per la traduzione, ne è prova il nome del traduttore sempre in copertina. Io ho tradotto per tanti anni e quando ho tempo traduco ancora; ho insegnato anche per diciassette anni all’università di Pisa un modulo di traduzione dalle lingue slave. Il nostro scopo è far capire a chi si interessa di traduzioni cosa vuol dire la traduzione per il mondo editoriale. C’è infatti una differenza tra la traduzione filologicamente corretta e la traduzione altrettanto filologicamente corretta, ma che comunque ha un destinatario preciso, il pubblico. Far capire come si fa una scheda di traduzione, come ci si rivolge a un editore in questo campo, come si maneggia il testo, come si sciolgono praticamente alcuni nodi del testo tradotto. Questi sono alcuni degli obiettivi della bottega. Il redattore, certo, ci deve essere e fa comunque un lavoro di controllo finale, anche riprendendo in considerazione il testo in lingua originale, ma il traduttore ben formato gli permette di non lavorare come un pazzo. Chi traduce sa che un occhio esterno serve e non ci sono vie di mezzo. Ma l’idea è proprio quella di facilitare il lavoro del redattore.

Qualche anticipazione sulle uscite 2013?

In questi giorni sta uscendo in libreria Delitto a Villa Ada di Giorgio Manacorda. Poi c’è Barbablù di Amélie Nothomb, che uscirà – come di consueto – a fine febbraio. Inoltre quest’anno la Nothomb sarà in Italia dal 10 al 13 aprile e sarà ospite della giornata conclusiva del festival veneziano “Incroci di civiltà”. Continueremo con La Cattedrale, del polacco Jacek Dukaj, considerato una vera promessa nel campo del racconto di fantascienza, che è un libro su cui puntiamo moltissimo: sono tre racconti lunghi molto belli. Cosa ci resta domani, della statunitense Katie Arnold-Ratliff. E poi c’è Matteo Marchesini, un altro italiano su cui stiamo indagando. Il romanzo è bellissimo, l’ho appena letto, e s’intitola Atti Mancati. E per finire Philippe Djian, l’erede della beat generation, con un romanzo politicamente scorretto che s’intitola Oh… Djian è grandissimo, mi chiedo come l’editoria italiana abbia potuto lasciarlo da parte. Era uscito solo Betty Blue. 37° 2 al mattino per De Agostini e poi era finito nel dimenticatoio. Invece è un grandissimo autore e sono contenta che il filone Djian stia andando piuttosto bene.

Ringraziamo Daniela Di Sora per la disponibilità e vi diamo appuntamento al mese di febbraio con una nuova casa editrice.