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[LibriCome4] Salman Rushdie: “Come Joseph Anton”

di Elisa Longo / 21 marzo

«Informo l’eletto popolo musulmano che nei confronti dell’autore di I versi satanici contro l’Islam, il Profeta e il Corano, e nei confronti di tutte le persone coinvolte nella pubblicazione del libro che ne conoscevano il contenuto è proclamata la condanna a morte. A tutti i musulmani del mondo è lecito giustiziarli in qualunque luogo essi si trovino».

Durante l’ultimo incontro della giornata conclusiva di Libri Come, i temi sono caldi, scoppiettanti. Si parla di letteratura, di censura, di intolleranza e di vita, con uno scrittore di fama internazionale: Salman Rushdie.

Il libro in questione, I versi satanici,  viene pubblicato nel 1988: un’epoca molto diversa dai nostri giorni. Qualcuno – i fondamentalisti – ritiene che il romanzo di Rushdie offenda l’Islam: l’allusione a una storia fantastica, sicuramente in una rivisitazione romanzesca di alcuni aspetti della cultura islamica, contenuti nei versi che danno il titolo al romanzo, costa cara all’autore. E non solo a lui.
Poco dopo la pubblicazione, nascono spontaneamente alcune proteste; all’inizio, in maniera distratta, frastornata, poi insistenti, irruente. Il libro,messo al bando, viene bruciato, distrutto, calpestato. È 14 febbraio del 1989 quando una giornalista anonima chiama lo scrittore per annunciargli la fatwā di Khomeini, che aveva decretato la sua condanna a morte, per blasfemia. E da quel momento in poi, cala un silenzio lugubre, un sipario di terrore e di oscurità.

«I poliziotti della mia protezione mi chiesero di cercare uno pseudonimo da poter utilizzare per due motivi: per i gesti quotidiani, la vita di tutti i giorni come pagare bollette, firmare assegni, fare la spesa, ma anche perchè la mia scorta di protezione aveva bisogno di esercitarsi a dire un nome che non fosse il mio, per non farselo scappare in un bar, o in un qualsiasi luogo pubblico».

Salman Rushdie ha dovuto cambiare nome, usare uno pseudonimo, annientarsi in un’identità che non gli apparteneva, confondersi con la folla. Il suo nuovo nome, Joseph Anton, è una crasi tra quelli di celebri autori: Joseph è il nome di Conrad, Anton è il nome di Čechov messi insieme, compattati. «Questo» conferma l’autore «era l’unico nome che mi conquistava. Sembrava un nome plausibile, di un qualcuno veramente esistito».

È credendo nella letteratura ma anche nella vita e nell’umanità che Salman Rushdie affronta la sua battaglia contro la censura. Perchè, è risaputo, l’intolleranza va a braccetto con l’ignoranza. Ma ha una fitta schiera di complici: sostengono la sua causa scrittori di ogni genere e di ogni provenienza, figure umane nobili, coraggiose o di chi vorrebbe poterlo aiutare, nonostante la paura per la propria vita e per la propria famiglia. Lo scrittore confida di essere diventato molto acuto nel riconoscere nelle persone l’una o l’altra personalità: l’ipocrisia o la lealtà, il volto della giustizia o della cattiveria.

Ma è con la fiducia che non è mai mancata in lui che, oggi, a distanza di quasi venticinque anni, davanti a un pubblico attonito e calorosissimo, descrive ciò che ha vissuto con un sorriso.

Il mondo dei libri, che è composto da scrittori e lettori in un circolo disposto al dialogo e al confronto, lo ha visto uscire di scena, per tredici lunghi anni: «Il mondo dei libri è la mia patria ed è un mondo dove non è definita la patria, la politica, ma è un paese in sè. Questo mondo non ha frontiere, tutti si possono far plasmare e coinvolgere».

Un mondo che gli è stato in parte negato.


L’evento si è svolto domenica 17 marzo presso la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, all’interno del festival Libri come.