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“Racconti di Odessa” di Isaak Babel’

di Anna Quatraro / 18 giugno

Racconti di Odessa (Voland, 2012) di Isaak Babel’ è una breve, delicata epopea suddivisa in quindici racconti che attraverso personaggi fiabeschi e suggestive descrizioni di tramonti e malinconie affrescano la struggente emarginazione della minoranza ebraica di Odessa, florido emporio commerciale e sede di un vivace crogiuolo di etnie.

Nella sua puntuale prefazione, il traduttore Bruno Osimo avverte il lettore della presenza di tali specificità culturali russe ed ebraiche, quali indizi di una consistente ibridazione linguistica tanto cara all’autore e inevitabilmente adombrata dal traduttore. Eppure, Osimo argomenta di aver cercato di preservarla, riproducendo le stravaganze lessicali, con scelte, per sua stessa ammissione, assai autonome e originali, fra le quali spiccano la licenza di ripensare i cognomi preservando l’eco della desinenza pseudo-russa posticcia e la scelta di ignorare i cambiamenti apportati dal vezzeggiativo e dal patronimico ai nomi propri.

Il risultato di questa attitudine filologica tanto scrupolosa verso la cultura quanto versatile nei confronti della lingua, è la piena restituzione di un immaginario vivido e funambolesco dominato da gangster crudeli e miseri fabbri, ambulanti e sicari, egualmente imbrigliati nel laccio della mafia locale.

Il carattere corale della raccolta prevede una struttura episodica nella quale si muove un vortice di caratteri umani e micro-vicissitudini, che concede al lettore l’illusione di una storia unica, priva di incongruenze, tesi avvallata dalla disposizione dei racconti, scelta da Osimo, non in base all’ordine di stesura o di pubblicazione, bensì secondo la sfrangiata cronologia dei fatti narrati.

Scritti negli anni Venti e Trenta, ma ambientati alla vigilia della rivoluzione sovietica, questi racconti contengono frammenti di visioni quotidiane, avvolti da un incredibile incanto e da straniamento geografico, del confine rispetto all’impero. Si distinguono per la freschezza delle immagini i racconti che ricostruiscono l’infanzia dell’io narrante (“Storia della mia colombaia”, “Primo amore” e “Risveglio”) e “Come si faceva a Odessa”, che assieme a “Il Re” e “Tramonto”, ricorda l’ascesa di Benja Grid, re dei gangster nella Moldavjanka, il ghetto ebraico della cittadina. Su Odessa grava il clima dello sfacelo dei pogróm, gli atti di persecuzione antisemita, una violenza che Babel’ coglie nella sua brutalità macabra e inumana proiettandola oltremisura nei dettagli. «Ero in terra, e le interiora dell’uccello spiaccicato mi sgocciolavano sulla tempia. Scorrevano lungo le guance serpeggiando, schizzando e accecandomi».

Le esistenze sgangherate di tanti piccoli anti-eroi incedono in un dedalo di strade grigie, rischiarate, nella narrazione, dall’esplorazione del mondo lirico e meraviglioso schiuso dalla potenza delle parole. Appoggiandosi sull’eloquenza schietta della lingua colloquiale, l’autore alleggerisce il tono barocco impiegato per gli elementi naturali, su tutti «l’occhio purpureo del tramonto» e «la notte, cosparsa di stelle, di aria blu e di silenzio», un tono che, però, scansando il rischio della ridondanza, amplifica l’espressività di Babel’.

In conclusione, questa piccola e pregevole antologia offre piacevoli miniature, slanci drammaturgici, realizzati in modo compiuto nelle opere teatrali Tramonto e Maria e una consistente ricerca estetica, ma tuttavia risente delle disparità del valore artistico dei singoli lavori che la compongono, che la rendono un’armonia appena un po’ stonata, ma più genuina.

(Isaak Babel’, Racconti di Odessa, trad. di Bruno Osimo, Voland, 2012, pp. 173, euro 10)