Flanerí

Libri

“Estasi di libertà” di Stefan Zweig

di Francesco Leonelli / 18 luglio

Robert Musil scriveva in un suo saggio che mentre la Francia aveva i francesi, la Svizzera gli svizzeri, l’America gli americani, l’Austria esisteva senza avere gli austriaci. La tragedia dello sgretolamento della cosiddetta Austria felix, intensamente sentito dagli scrittori mitteleuropei, aveva radici così profonde nel passato che l’ora fatale dell’Austria-Ungheria, scoccata con la fine della Grande Guerra, non fu altro che l’inevitabile collasso d’un organismo che aveva vissuto senza mai conoscere veramente se stesso, e che in articulo mortis compì l’ultimo, quasi necessario atto: un’agnizione della propria inconsistenza, frutto di secoli trascorsi nelle pieghe d’un inganno.

È dunque il dramma d’un’identità fragile e fittizia, tenuta in vita solo in quei simulacri della realtà che sono le carte geografiche, la burocrazia e i libri di storia (si pensi all’episodio dell’eroe di Solferino nel più bel romanzo di Joseph Roth).

Nei libri di Stefan Zweig, forse uno degli autori che più intensamente sentì la fine d’un mondo a cui egli legò il suo destino (legame superbamente narrato nel celebre libro Il mondo di ieri) si ritrova ancora oggi, intatto, il lento consumarsi di quegli uomini che non poterono sopravvivere all’estinzione di un’identità che, proprio perché fittizia, forniva il necessario ammanto per mascherare il dramma d’un profondo sradicamento.

Estasi di libertà (Clichy, 2013) è un romanzo rimasto inedito per molto tempo, e oggi riproposto in una bella traduzione di Luciana Rotter. Vi si narra la storia di Christine Hoflehner, giovane impiegata in un ufficio postale d’un piccolo borgo austriaco (uno di quei luoghi che sembrano replicarsi identici per la vasta provincia dell’Impero), la cui vita sembra destinata a spendersi nella triste ripetitività dei suoi doveri, sospesa nel limbo di chi riesce a tenersi lontano dalla miseria solo quel poco che permetta di sopravvivere senza però riuscire a non sentirne il tanfo. Un telegramma inaspettato sembra darle una speranza per una via d’uscita: due ricchi zii la invitano a trascorrere le vacanze di Natale in un lussuoso hotel in Svizzera. Christine accetta, e viene introdotta d’un tratto in un giro di ricchi uomini e donne provenienti da tutta l’Europa. L’incanto d’una società mai toccata dalla guerra è come un bagno purificatore per Christine, la quale si libera finalmente del fango della sua esistenza precedente. Ma è solo una breve illusione. Meschinità e invidia, annidate come serpi in quel luogo apparentemente paradisiaco, faranno in modo che Christine (che nel frattempo ha cambiato nome e cognome) venga riconosciuta per la piccola e miserabile postina austriaca a cui è capitata una gran fortuna, e venga cacciata malamente come un elemento estraneo e ostile a quel luogo.

Per Christine inizia il peggiore dei supplizi: dover ricominciare la vita di tutti i giorni come se niente fosse mai successo. Il veleno di cui è intrisa la piaga dell’umiliazione sembra ora agire a un livello diverso e più pericoloso, trasformandosi in odio e ripugnanza per quella meschina vita di provincia, sepoltura per vivi. Durante un viaggio a Vienna, che ha più il sapore d’una fuga, Christine conoscerà Ferdinand, un reduce che per una serie di sfortunate coincidenze ha passato molti anni in Siberia come prigioniero di guerra.

Tra i due nasce un legame che, invece di fondarsi sull’amore e sull’affetto, sembra quasi un reciproco soccorso contro la ferocia con cui la vita s’è avventata su di loro. Un comune progetto di suicidio (e qui ritorna una costante dei romanzi di Zweig, una tragica mise en abyme destinata a uscire dalla letteratura e trovare poi compimento con il suicidio dell’autore) sarà commutato in ultimo in un progetto di rapina e di fuga, quasi un estremo tentativo di scampare all’abisso compiendo un atto di rivolta contro il maggiore responsabile di tutti i dolori: quell’Impero, ormai morto, che aveva lentamente distrutto se stesso e che aveva trascinato con sé, come in una danza macabra, i suoi sudditi.


(Stefan Zweig, Estasi di libertà, trad. di Luciana Rotter, Edizioni Clichy, 2013, pp. 465, euro 10)