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“E quel poco d’amore che c’è” di Emmanuele Bianco

di Vanessa Palmiero / 18 luglio

E quel poco d’amore che c’è di Emmanuele Bianco (Fandango 2013) è un romanzo sentimentale incentrato sulle vicende di una famiglia in disfacimento.

Dall’incomunicabilità generazionale al tema della separazione, i personaggi di questo libro annaspano tra i rancori e le violenze verbali del tipico dramma all’italiana.

Veniero è la voce narrante, il figlio che porta sulle spalle il peso del dolore materno e della repressione paterna. Santo infatti è un padre padrone, burbero e scostante con Veniero, irruento e despota con Maria nel ruolo di angelo del focolare. Dopo la separazione, padre e figlio interrompono i rapporti, Veniero lascia l’Italia e Santo si trasferisce al Nord, abbandonando la moglie nella sua vecchia dimora. Ma la donna si ammala, è ormai in fin di vita e ha un desiderio: rivedere Veniero e il marito per l’ultima volta. I due allora sono costretti a incontrarsi per affrontare insieme un lungo viaggio, che poi è la sostanza del libro, dove un susseguirsi di recriminazioni, silenzi, pianti e scatti di ira sciolgono lentamente i nodi di questo rapporto conflittuale.

Il testo è articolato secondo lo schema: Madre in fin di vita + Figlio&Padrepadrone + Viaggio insieme per raggiungere la donna= x, che non risolvo per non rovinare la trama. Fatto sta che questa equazione corrisponde in termini logici a una reggente da cui dipende tutto il testo, un meccanismo messo in moto per celare alcuni vuoti narrativi denunciati apertamente dalle numerose frasi a effetto. Infatti con uno stile didascalico e una costruzione dei personaggi stereotipata, i numerosi intermezzi riflessivi si rivelano un limite anziché un valore aggiunto.

Più che da modelli letterari, il libro sembra condizionato dal cinema italiano degli ultimi tempi, penso ad Anche libero va bene di Kim Rossi Stuart, a buona parte dei film di Muccino, passando per i conflitti familiari di Mio fratello è figlio unico: tutti film in cui la ricerca del contenuto prevarica la forma.

Va detto inoltre che Emmanuele Bianco proviene dalla scuola di Baricco proprio come Paolo Giordano e non so se sia una coincidenza, ma leggendo questo libro sembra di imbattersi in un lavoro che di creativo ha ben poco, sempre che non si consideri la scrittura creativa come un genere (cioè un intrattenimento intriso di rimandi esistenzialistici) e allora in tal caso sarebbe un lavoro più che riuscito.

«Le cose passano, come la luce di un’alba» e «La notte è di un certo tipo di persone: pepite d’oro che non brillano».

Insomma, nulla di nuovo sotto il sole.


(Emmanuele Bianco, E quel poco d’amore che c’è, Fandango Libri, 2013, pp. 218, euro 15)