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“Onora la madre”: a tu per tu con Angela Iantosca

di Simone Mercurio / 22 luglio

C’è ancora, nel nostro vituperato e decadente paese più volte offeso dai suoi cittadini prima ancora che dalla sua classe politica, un manipolo di uomini e donne di buona volontà che si ostina a raccontare storie, persone, culture, alienazioni, per fermarle nel tempo così da fotografarne i particolari, per identificarne i contorni.

Abbiamo incontrato la giornalista Angela Iantosca, al suo primo libro con Onora la madre – Storie di ’ndrangheta al femminile (Rubbettino, 2013). Il volume è un ricco compendio sul fenomeno della ’ndrangheta, mafia tra le più nebulose, e sul ruolo delle donne, sempre più protagoniste anche in questi settori criminali.

«La mafia calabrese è silenziosa, non è eclatante, clamorosa come quella siciliana, come la camorra in Campania», spiega a Flanerí la giovane reporter di Latina, «ma si distingue per i meriti acquisiti sul campo».

Il fatturato della ’ndrangheta, secondo le ultime stime pubblicate da Il Sole 24 Ore a metà luglio è di 52,6 miliardi l’anno. Numeri impressionanti per un giro d’affari da multinazionale se non da piccolo stato, con una stima pari al 3,4% del Pil italiano.

«Questo della ’ndrangheta è un piccolo capolavoro diabolico. Lo Stato, le Istituzioni, la Magistratura per decenni hanno sottovalutato la criminalità organizzata calabrese, ritenendola arcaica, primitiva. Invece è venuto fuori che oggi la ’ndrangheta detta le regole del traffico internazionale di droga, stringe alleanze politiche, economiche, massoniche, senza complessi di inferiorità perché ha un potere militare ed economico smisurato. Inoltre sono pochissimi i pentiti che ce la svelano, perché è un’organizzazione chiusa, blindata dal suo interno».


Angela, il tuo libro vanta la prefazione del professor Enzo Ciconte, considerato uno dei massimi studiosi del fenomeno ’ndrangheta oggi: come ti spieghi l’ascesa esponenziale di questa criminalità?

L’impenetrabilità è stata fondamentale per la sua crescita. Questa è dovuta principalmente a due fattori/espedienti geniali nella loro perversità. Un rapporto parentale pressoché totale tra i vari componenti delle cosche e famiglie, e poi l’utilizzo di un dialetto strettissimo tra gli affiliati. Addirittura il gergo della borgata di appartenenza! Quest’ultimo elemento rende molto complicate, se non impossibili, le intercettazioni di forze dell’ordine e magistratura.


Onora la madre è incentrato sul ruolo delle donne dentro il fenomeno mafioso calabrese. Perché questa scelta? È così importante?

È una sorta di sillogismo aristotelico: la famiglia è l’elemento fondante della ’ndrangheta, la donna è un elemento fondante della famiglia, la donna è, dunque, l’elemento fondante della ’ndrangheta. Molto semplice. Eppure complicatissimo. Ma nella mafia calabrese questo è tanto strategico e cardine nei suoi meccanismi, quanto, volutamente, è tenuto in sordina. Quello che muove le donne, nel bene e nel male, oltre al potere e al denaro, è il vincolo dei figli. Per preservare i figli la donna di ’ndrangheta protegge, minaccia, ordina omicidi, ma può anche, in rari casi ancora, diventare una preziosa collaboratrice di giustizia come Giuseppina Pesce che, dopo il suo arresto, decide di rompere con la famiglia mafiosa per salvare i propri figli e diventare collaboratrice. Il prezzo per queste decisioni è altissimo, a volte la vita stessa. I figli, punto di forza e di debolezza. Le donne rischiano la vita, pur di far condurre ai figli un’esistenza diversa dalla loro. Il web ha avuto un ruolo chiave per fare uscire queste donne dalla gabbia del paese/clan che le voleva solo figlie-mogli-madri. Social network come Facebook le hanno messe in contatto col mondo esterno, tant’è che alcune hanno deciso di raccontare le loro storie ai magistrati, dopo aver incontrato in rete dei ragazzi, degli uomini, che le hanno viste come persone e non oggetti.


Nel volume racconti storie di donne-boss come Maria Serraino definita «Mamma eroina» quando era a capo della ’ndrangheta milanese dopo gli anni ’60. E poi racconti di donne coraggiose come Teresa Concetta Malagò, prima collaboratrice di giustizia di ’ndrangheta, e Lea Garofalo l’ex testimone di giustizia uccisa per aver testimoniato contro il marito Carlo Cosco e aver difeso la figlia Denise. Tu stessa, Angela, sei andata a raccogliere queste storie e testimonianze direttamente in Calabria. Che tipo di ambiente ti sei trovata di fronte?

Ho trovato una Calabria ospitale, accogliente, disponibile a parlare. Ho avuto modo di confrontarmi, di girare da Praia a Mare fino alla Locride. Ho avuto la fortuna di poter incontrare Marisa Garofalo e di ascoltare da lei il racconto di una sorella “inedita”, testarda sin dai primi anni di vita. Ho incontrato la Calabria dimenticata, quella fatta di riti, di fede, di tradizioni. Ma soprattutto, grazie a questo viaggio ho conosciuto la Calabria che non si può non amare, quella fatta dagli uomini e dalle donne che, nonostante tutto, hanno deciso di rimanere nella loro terra che si può cambiare solo se si impara a usare la parola «NO».


Grazie per la testimonianza, a presto Angela.


(Angela Iantosca, Onora la madre – Storie di ’ndrangheta al femminile, Rubbettino, 2013, pp. 240, euro 12)