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“Un gomitolo di concause” di Carlo Emilio Gadda

di Dario De Cristofaro / 11 novembre

Le lettere di Carlo Emilio Gadda, inviate al suo amico Pietro Citati e raccolte in Un gomitolo di concause (Adelphi, 2013) – quarantaquattro in tutto –, sono una testimonianza delle sofferenze e delle profonde amarezze che tormentarono il corpo e la psiche dello scrittore milanese e abbracciano un periodo che va dall’agosto del 1957 all’agosto del 1969 – alcune riguardano quasi gli ultimi anni della sua vita: morirà infatti nel 1973, all’età di 80 anni.

Un gomitolo: un ammasso confuso di sofferenze, che non ha una sola causa esterna, ma molte cause (con-cause), anche se per capire il tutto bisogna fare attenzione alla testimonianza di Citati, che nel descrivere l’origine della sua amicizia con Gadda e nel delineare il carattere dello scrittore, mette in evidenza l’instabilità della sua psiche: «Diventava all’improvviso furibondo: poi disperato, in modo irrimediabile». Parla inoltre di «male oscuro», di «male invisibile», di «ferita sempre aperta» – Gadda da parte sua sembra confermare tutto ciò, allorché afferma: «La realtà è che tiro la vita coi denti».

Il gomitolo, che richiama l’ingravalliano «gliuommero» della realtà, evocato in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, è costituito da sofferenze fisiche e da disagi psichici e morali, causati da circostanze esterne: rapporti con organizzatori di premi letterari, intervistatori, cinematografari, esattori di tasse, denigratori e soprattutto con editori (Garzanti, Einaudi, Mondadori), che come cani famelici lo perseguitano e minacciano di dilaniarlo

La sua vita sembra snodarsi in un ambito ristretto di località che hanno come asse Roma e Milano e che abbracciano sporadicamente alcuni luoghi di villeggiatura, in cui lo scrittore amava rifugiarsi per lenire le sue sofferenze fisiche, per lo più nelle vicinanze dell’amico Citati. Ovunque riecheggia il paesaggio toscano e sullo sfondo domina quasi sempre la Maremma, di cui Citati è assiduo frequentatore:da Giuncarico, ove egli acquistò una villa denominata la Castellaccia, al Cinquale, a Livorno/Antignano/Quercianella, a Grosseto e dintorni.

È presente nelle lettere, inoltre, tutto il mondo letterario contemporaneo allo scrittore, con personaggi più o meno apprezzati dall’“ingegnere milanese”: da Cecchi, Bo, Contini, i coniugi Bellonci a Parise, Moravia con Elsa Morante, Pasolini, Luzzi.

La lettera del 27 ottobre 1965, scritta da Roma, rappresenta un unicum nell’insieme dell’epistolario gaddiano, non solo perché può considerarsi un prezioso saggio del tipico stile dello scrittore, soprattutto nell’impasto linguistico, ma anche perché vi riecheggia l’animo bucolico di Gadda: verrebbe voglia di accostarlo al “poeta delle piccole cose”, se non fosse per quella connaturale antipatia, che nelle stesse lettere lo scrittore fa trasparire per il Pascoli: «Il pigolante Zvanì». È pur vero comunque che la matrice dei sentimenti espressi in questa lettera è profondamente diversa. Emergono infatti il «vecchio sogno dei muratori lombardi», nonché vaghi accenti freudiani, sparsi qua e là; e, se proprio si vuole scorgere un nesso poetico, questo è da cogliere in quel «consentirà loro di meriggiare sereni» di montaliana memoria e in alcuni preziosi riferimenti dannunziani.

Tutte le altre lettere purtroppo rivelano profonde amarezze e sofferenze costanti a cui si è accennato all’inizio.

È pur vero che tutto sembra essere mitigato da un sentimento perenne, quasi una dipendenza psichica, che ha la radice in una reciproca stima tra Gadda e l’editor Citati. E non solo con quest’ultimo. Non vi è lettera infatti, in cui non sia menzionata la figura di Elena, moglie di Pietro, quasi a sottolineare che oltre al vincolo dell’amicizia, Gadda si sentiva come incardinato in quella famiglia.

Il richiamo di Elena ci riporta poi alle donne che in genere sono rappresentate nell’epistolario. Sappiamo quale fosse il concetto della donna in Gadda. Le sue due opere tipiche: La cognizione del dolore e in particolare il suo capolavoro Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ne danno un’ampia galleria. Qui emergono l’esemplare tuttofare furbesco e quello materno: il primo rappresentato dalla concierge russa, il secondo dalla governante italiana, premurosa e fedele.

Un gomitolo di concause è, in conclusione, una pubblicazione piacevole e un documento utile, di cui bisogna essere grati alla casa editrice Adelphi, che come in casi analoghi, sa compiere un’opera scientifico-filologica apprezzabile, resa ancora più pregevole dai due saggi aggiunti: l’uno di Citati su Gadda e l’altro di Giorgio Pirotti, il curatore dell’epistolario e delle note, sui rapporti tra Citati e Gadda.


(Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause, Adelphi, 2013, pp. 239, euro 14)