Flanerí

Libri

“Nascita di un ponte” di Maylis de Kerangal

di Antonio Scerbo / 21 novembre

Non è poi così tardi imbattersi solo oggi in Maylis de Kerangal: se da una parte è vero che Nascita di un ponte (Feltrinelli, 2013) è la settima fatica dell’autrice nonché sua prima opera edita nel nostro paese, dall’altra è altrettanto vero che restano da scoprire della stessa ben altri sei romanzi; il che porta a sperare che il differito debutto della scrittrice francese in terra italica venga sapientemente compensato con la pubblicazione dell’intera sua creazione letteraria: si attendono nuove scosse.

Questo perché Nascita di un ponte è roba forte, che sa prendere allo stomaco.

Un ponte deve dunque esser tirato su, nella città di Coca, non precisato luogo di una California che sa di altri tempi, di giorni di conquista, quando, così, d’emblée, si arrivava da lontano, per sfangarla. E in effetti una fantasmagorica umanità – unico e indivisibile corpo, vero protagonista del romanzo – si ritrova gerarchicamente concentrata sulle rive di un fiume a pianificare, sondare, eseguire gli ordini. L’atmosfera è elettrica, niente deve esser lasciato al caso, e come si potrebbe? Il dettaglio è l’estrema ratio, il ponte sarà un miracolo sotto tutti i rispetti. Ma uno stormo di uccelli in migrazione arresta l’ingranaggio, e niente lavoro per tre settimane, tra la gioia di chi si darà ai bagordi, e il dolore di chi nel proprio mestiere sublima ferite mai rimarginate. E volati via i sabotatori, si dovrà far fronte anche allo sciopero minacciato dagli operai: si sa, lo spettacolo deve andare avanti, venga l’imprevisto dall’esterno o dall’interno; la complessità è del resto di questo mondo, e non ci si tira indietro, non fa parte del contratto.

Un evento però sembra dare il tono alla vicenda tutta: lo scontro, sotto la pioggia e nel fango, tra chi rappresenta la ragione della monumentale opera e chi rappresenta il sentimento che, in quella terra nato e cresciuto, sente adesso forte il pericolo.

È una rappresentazione di prim’ordine quella che ci dona Maylis de Kerangal; attraverso una scrittura immediata e senza fronzoli, spietatamente diretta allo scopo, centra con indubbio talento quella dialettica che vede l’uomo e i suoi progetti inseguirsi e mordersi la coda, e chiedersi se il fine, dacché mondo è mondo, giustifica in ultimo la sopraffazione, di sé, dell’altro da sé: ci sono momenti incantati in cui chiunque, in un modo o nell’altro, viene in chiaro della propria esistenza, a volte dando seguito alla rivelazione, altre accantonandola; sono tanti i cadaveri eccellenti che nemmeno le più sfavillanti luci del più maestoso dei ponti riusciranno mai a nascondere, è in fondo una questione di ombre da addomesticare.

Maylis de Kerangal non ha la presunzione di indicare la strada, riesce invece con grazia femminea a rendere accattivante e sfavillante, per quanto tragica nella sua immanenza, anche l’umanità al suo nadir, consegnandola di petto per quello che è: umana, troppo umana. E comunque ancora capace di grandi opere.


(Maylis de Kerangal, Nascita di un ponte, trad. di Maria Baiocchi, Feltrinelli, 2013, pp. 256, euro 16)