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Musica

Le luci della centrale elettrica @Atlantico Club, 4 aprile 2014

di Mattia Pianezzi / 15 aprile

Una premessa: chi scrive ha sempre pensato che Le Luci Della Centrale Elettrica celassero un segreto. Già il loro album omonimo del 2007, lo abbiamo trovato pretenzioso quanto superfluo, e il secondo una semplice presa in giro. Le orde di fan, l’apprezzamento delle riviste di settore e tutto il vociare diffuso attorno alla creatura di Vasco Brondi erano incomprensibili. Viste le premesse non avevamo sentito l’urgenza di ascoltare il loro l’ultimo disco, Costellazioni (Cara Catastrofe, 2014) ma, un po’ per lavoro e un po’ per curiosità, non ci siamo fatti scappare l’occasione per unirci al “vociare”, così il 4 aprile siamo andati all’Atlantico di Roma a vederli in concerto. Faccia a faccia non avranno più segreti, abbiamo pensato, non potranno mentire; in live finalmente saranno sinceri e capiremo.

Prima di andare all’Atlantico c’è stato il tempo e la necessità di ascoltare il disco nuovo. Le canzoni di Vasco Brondi & Co degli album precedenti non avevano una struttura regolare o lineare, con un effetto straniante nelle musiche – scarne e ripetute – e nei testi all’apparenza casuali che parevano forzati, ricordando una sorta di scrittura automatica surrealista senza averne le doti o le tendenze pseudoartistiche (è sempre stata una vita dura per i surrealisti) e soprattutto in ritardo di 90 anni. Dopo i primi album e le varie scimmiottature post-punk senza la furia iconoclasta dei grandi “padri” CCCP e senza, d’altronde, avere niente da distruggere – Brondi sa meglio di tutti che intorno c’è un deserto – Le Luci si chiudono in loro stesse, e si autoilluminano. Creano un immaginario e lo bistrattano per poi esaltarlo, il loro pubblico si identifica con questo vago malessere postindustriale e provinciale, con quest’amore indefinito, con questo strano mondo di ballerine hipster coi frangettoni nei video su YouTube.

Anche il nuovo disco ha un’identità che ci sembra palese, quella di un gruppo che cambia la forma perché la sostanza non cambi. L’antiretorica brondiana è retorica essa stessa: non si dovrebbe cercare di superare, opporsi, contrastare nessuno: si dovrebbe suonare, creare per conto proprio, se si vuole dare un senso alla propria opera. Questo, nelle Luci Della Centrale Elettrica, non avviene.

La nuova ricerca della forma canzone di Brondi è apprezzabile: gli arrangiamenti e il tentativo di dare senso a musica e parole che aleggia su tutto Costellazioni sono godibili. Il ferrarese ha smesso persino di gridare nell’ultimo disco, modula anche un po’ la voce, quasi canta: ha accettato di essere pop, un prodotto; ha fatto i conti con questo. Si tratta di maturità? Forse. Si può dire maturità stilistica? Non saprei. Basta per fare un buon disco? Non direi. Le sovraregistrazioni, i suoni grassi di Dragogna dei Ministri, che ha partecipato alla stesura finale dell’album, ci sembra servano ancora a questo: coprire, mascherare, millantare. Dopo due dischi e il grande successo è facile fare un dischetto elettropop – hai già un pubblico che lo ascolterà.

All’Atlantico però la folla è in festa. Vasco Brondi ha suonato e ha domato il suo pubblico per poco meno di due ore in un locale quasi pieno, riproponendo tutto Costellazioni e inframmezzandolo con pezzi dai primi album, cantati a squarciagola dagli spettatori sotto il palco. In live le canzoni nuove perdono smalto, i suoni ricercati della produzione di Costellazioni sono ridotti dalle possibilità del live, nonostante l’energia aggiunta; i pezzi dei precedenti album acquistano personalità, forza, giustificando in parte quel gruppo di persone che davvero affermano che «in live è tutta un’altra cosa».

Ad aprire il concerto la cantautrice pesarese Maria Antonietta in acustico, e a posteriori viene da ripensare al contrasto della sua figura esile che con una chitarra e la sua voce dominava il palco con un’attitudine punk, un’energia da far paura, una sincerità palese. Il confronto è stato inevitabile. A un certo punto compaiono sul palco entrambi, il diavolo e l’acqua santa – a seconda della vostra definizione di musica, o della vostra momentanea affezione – e cantano insieme. La «ragazza con la chitarra e litri di sangue versato» dimostra che la buona musica è fatta anche di questo: sangue versato, passione, spregiudicatezza che può sembrare naïf. Forse è solo sincera.

 

Le luci della centrale elettrica
4 aprile 2014
Atlantico Club, Roma
in collaborazione con Ausgang Produzioni