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Libri

“L’eliminazione” di Rithy Panh

di Francesco Cargnelutti / 13 maggio

«Dietro questi crimini c’è una manciata di intellettuali; un’ideologia potente; un’organizzazione impeccabile; un’ossessione di controllo e dunque di segretezza; un disprezzo totale per gli individui; un ricorso assoluto alla morte. Sì, dietro c’è un progetto umano».

Il regime dei Khmer Rossi in Cambogia, allora Kampuchea Democratica, ha segnato profondamente la vita di Rithy Panh. Il regista cambogiano, adolescente all’epoca dei fatti (1975-1979), persegue, attraverso il suo L’eliminazione (Feltrinelli, 2014) – libro scritto a quattro mani assieme allo scrittore francese Christophe Bataille – lo stesso obiettivo che ha motivato i suoi documentari: la comprensione della dimensione umana che ha alimentato e messo in atto quell’opera disumana e disumanizzante che è stata la rivoluzione dei Khmer rossi. Una rivoluzione che si è imposta sul popolo cambogiano causando, per fame e sterminio, un milione e settecentomila morti, quasi un terzo dell’intera popolazione.

Il libro di Panh procede su un doppio binario che continua a incrociarsi, mostrando nelle stesse pagine le due verità che per quattro anni hanno convissuto nella Kampuchea Democratica. Da una parte la verità delle vittime e dall’altra quella dei carnefici, i Khmer rossi, rappresentati in queste pagine da Duch, nome di battaglia di Kaing Guek Eav, direttore del centro di tortura e sterminio S21 a Phnom Penh. Il ritratto del rivoluzionario emerge da una serie di interviste fatte a Duch dallo stesso Panh e raccontate da questo allo scrittore francese. Attraverso l’incontro, o meglio il duello, con Duch, il regista cambogiano cerca di raggiungere ciò che c’è di umano nel carnefice. Solo raggiungendo l’uomo dietro alla rivoluzione, questa potrà essere compresa.

La scelta di intervistare il direttore dell’S21 non è casuale dal momento che, per Panh, i centri di tortura sono una delle espressioni più evidenti dei caratteri della rivoluzione: il primato dell’idea sull’uomo, la distruzione, l’alimentazione dell’ideologia attraverso la tecnica e la procedura. I prigionieri, infatti, non sono esseri umani, ma nemici, «animali senza anima», dice lo stesso Buch. Sono esseri di cui gli aguzzini si servono, attraverso le confessioni strappate sotto tortura, per praticare, rappresentare e alimentare la rivoluzione. Questa, dice Panh, «non è un’aspirazione: è una pratica codificata». E la tortura è una delle pratiche della rivoluzione. Una pratica attraverso la quale la rivoluzione si esprime, ma anche dalla quale trae linfa vitale grazie alle confessioni che vengono estorte. «L’S21 non è una centrale di polizia dove si eseguono indagini – dice Panh –, ma un luogo ove si imbastiscono storie».

La seconda verità che trova spazio nelle pagine del libro è quella delle vittime, non solo del «popolo nuovo», borghese, destinato allo sfruttamento (e all’eliminazione), ma dell’intera popolazione. Una verità che emerge dalla storia dell’autore, che ha vissuto sulla propria pelle le scelte di un regime che ha posto l’idea e la rivoluzione per il popolo prima del popolo stesso. «Tutto è stato sottomesso all’Angkar, organizzazione misteriosa e onnipotente [Partito comunista della Kampuchea democratica, ndr] – racconta Panh –: vita sociale, legge, vita intellettuale, sfera familiare, vita amorosa e amicizie […] In un mondo del genere non sono più un individuo. Sono senza libertà, senza pensiero, senza origini, senza ricchezze, senza diritti: non ho più un corpo. Ho solo un dovere: annullarmi nell’organizzazione». Le parole dell’autore ci accompagnano in una realtà di cui ci vengono raccontati anche i dettagli più cruenti e violenti, in un tentativo estremo di portare a galla la verità, o meglio, le verità.

A che scopo? La comprensione. Una comprensione necessaria. Primo, perché i morti chiedono che si sappia cosa è successo. Secondo, per evitare che eventi del genere possano riaccadere. Terzo, perché solo quando la verità sarà memoria e non più un qualcosa da riportare a galla, da decifrare, si potrà raggiungere quella «pacificazione dell’anima che porta alla riconciliazione». Una riconciliazione tanto più necessaria poiché molti degli autori della barbarie avvenuta tra il 1975 e il 1979 sono a piede libero e conducono tuttora una vita normale in mezzo alle loro vittime.


(Rithy Panh con Christophe Bataille, L’eliminazione, trad. di Silvia Ballestra, Feltrinelli, 2014, pp. 196, euro 16)