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“Il re bianco del Madagascar” di Francesco Grasso

di Silvia Meschino / 16 maggio

Francesco Grasso ci narra la vera – consentitemi la parola dissonante con la natura di bugiardo naturale del nostro eroe – storia del suo antenato leggendario, Il re bianco del Madagascar (Ensemble editore, 2013): il capitano Francesco Claudio Maria Bonetti.

Si dice di generazione in generazione che costui lasciò ai suoi eredi 75 milioni di sterline presso la banca nazionale d’Inghilterra. Un’eredità che molti hanno reclamato ma di cui nessuno ha goduto.

Scaltro e curioso fin da bambino, poco intento ai lavori manuali ma amante della letteratura, Bonetti scappa da Villabate, una realtà troppa piccola per la sua fervida immaginazione, e salpa quasi diciannovenne da Sciacca andando alla ricerca di se stesso e seguendo quel richiamo che lo condurrà sempre verso Sud. In una notte nera e senza luna Bonetti inizia a definire la sua filosofia di vita: «Il dono della parola, che fin da bambino avevo scoperto in me, mi sembrava una virtù troppo preziosa per limitarla al solo racconto degli eventi reali. A quello erano buoni tutti. No, la vera potenza della parola si dispiegava nella narrazione di ciò che non era stato».

Il nostro Bonetti si sente investito del gran ruolo di cantastorie, ne percepisce quasi l’obbligo, a volte il dovere morale di deliziare i suoi ascoltatori, solo, con ciò che vogliono udire. Inizia così a interpretare un’infinità di maschere e ruoli.

Contrabbandiere al soldo di Giorgio III tra il XVII e il XVIII secolo, issa la Jolly Roger solcando l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano vivendo insieme alla sua ciurma di stenti e di assalti. Lanciandosi alla conquista del Madagascar senza riuscire a rispettare i miti e i dei locali, ma comportandosi da padrone in una terra dove è ospite, distruggendo e deridendo la cultura autoctona per imporre la propria.

Dopo aver passato una vita a scappare e conquistare, in fuga da Tananarive, nuovamente in esilio in una piovosa e ignota Calcutta, è obbligato a concedersi un momento di riposo, smette di guardare oltre, rivolge il suo sguardo al passato per occuparsi della sua eredità, di ciò che verrà narrato del grande Capitano Bonetti. Si abbandona, stanco, al silenzio della penna. Forse queste memorie sono il punto di incontro di mondi diversi, tra un Nord, crudelmente civile e un Sud, selvaggiamente sfruttato, in cui Bonetti cerca di inserirsi rimanendone con ogni sforzo escluso.

Un esiliato non può far altro che ripudiare le sue radici cercando solo dopo aver perso tutto affidare a quelle radici la sua storia.

Il Capitano, ormai cambiato dal tempo, decide di lasciare un canto alla materna sua terra, un’orma nel silenzioso passaggio della storia. Bonetti si riscatta socialmente, storicamente e moralmente con questo testamento. Spera forse, come i grandi eroi epici, che la poesia canti le sue gesta e la sua infelicità. E forse il suo volere non è rimasto insoddisfatto grazie all’incantevole libro di Francesco Bianco. Un libro leggero e assolutamente da leggere.


(Francesco Grasso, Il re bianco del Madagascar, Edizioni Ensemble, 2013, pp. 296, euro 16)