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“Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio” di Amara Lakhous

di Luca Casadio / 23 febbraio

A Roma, in una palazzina che affaccia su piazza Vittorio, un giovane viene ucciso, forse per una complicata questione legata all’uso di un ascensore. Si tratta di Lorenzo Manfredini, detto il gladiatore, un ragazzo rude e violento che nel quartiere quasi nessuno ama.
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio è un romanzo ironico, leggero, tutto dedicato alle differenze. Un antidoto per l’intolleranza e il razzismo ormai dilaganti.
L’omicidio in questione, infatti, è solo un pretesto per mostrare i veri protagonisti delle vicende; tutti quei personaggi che, in qualche modo, gravitano e vivono intorno a piazza Vittorio. C’è Hamed Salmi, anche se tutti lo chiamano Amedeo e pensano sia italiano; il suo amico iraniano, Parvit Mansoor Samadi, un cuoco che si trova bene solo in cucina e che odia visceralmente la pizza; Benedetta Esposito, la portinaia che viene da Napoli e che mal sopporta gli extracomunitari; il bengalese Iqbal Amir Allah; l’inquilina che ama solamente il proprio cane; Maria Cristina Gonzales, dal Perù, che fa la badante ad una signora di ottant’anni; un milanese venuto giù dal nord, che non ha molta simpatia per i romani; un giovane olandese che vuole girare un film su piazza Vittorio e su questo misterioso delitto; il proprietario del bar all’angolo, che riconosce la nazionalità dei migranti solo del modo di fare le ordinazioni; una dipendente dell’agenzia turistica, compagna di Amedeo, che non osa chiedergli nulla della sua vita passata; Abdallah Ben Kadour, tunisino, proprio come Amedeo, l’unico che conosca il suo passato e, per ultimo, Mauro Bettarini, il commissario che conduce le indagini sull’omicidio del gladiatore. Ad ognuno di queste figure, l’autore dedica un capitolo e alcune pagine private di diario che, come ululati, squarciano la notte.
Tutti questi personaggi in qualche modo sono razzisti; odiano e amano qualcosa o qualcuno, ma tutti ricordano con nostalgia e struggimento un passato ormai andato e una terra che hanno per qualche motivo abbandonato. Il romanzo – che attende la sua riduzione cinematografica – può essere considerato il giusto mezzo tra Quel pasticciaccio brutto di via Merulana di Carlo Emilio Gadda e Fa la cosa giusta di Spike Lee. Un libro leggero e ironico che si legge tutto di un fiato.
Amara Lakhouse, l’autore, è nato ad Algeri e vive a Roma dal 1995. È laureato in Filosofia, presso l’università di Algeri, e in Antropologia culturale all’università di Roma. Questo romanzo, il suo terzo in ordine di tempo, è interamente scritto in italiano. Lakhoue – come lui tesso fa dire ad un suo personaggio – si nutre della lingua italiana come fosse attaccato ad un biberon, anche lui figlio della lupa, idealmente posto tra Romolo e Remo. Il risultato è gradevole e leggero un’operetta morale sul pregiudizio, l’intolleranza e tutte le differenze degli uomini e del mondo.