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Libri

“Ossi di seppia” di Eugenio Montale

di Antonio Spagnuolo / 6 marzo

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,/ arida,/ rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:/ il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/ di me, con un terrore da ubriaco./ Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto/ alberi case colli per l’inganno consueto./ Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto/ tra gi uomini che non si voltano, col mio segreto.” Un momento di tensione che si dipana come un disegno transazionale del taccuino, che designa la proiezione di uno stato introiettato, quasi a  permettere di vivere tra sogno e realtà, per la giusta distanza dell’immaginario fantastico e la violenza della sospensione. Ossi di seppia comprende 60 liriche, raccolte in otto sezioni: Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi ed ombre; a questi fanno da cornice una introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). Potremmo azzardare l’ipotesi, a posteriori, che questo volume del Montale sia come la risposta negativa e parodistica all’Alcione dannunziano, un rovesciamento che l’autore intesse tra le luminosità delle figure e dei ritmi, in un alternarsi di liriche brevi e di testi più diffusi, un alternarsi musicale di movimenti più distesi e meditativi (come l'"adagio" di una sonata) e di sprazzi fulminei di immagini simboliche (come il "presto" o lo "scherzo").Per una ambientazione nelle atmosfere luminose della riviera ligure di levante, nel tempo della stagione estiva, quando “il sole cuoce/ e annuvolano l’aria le zanzare”, nello scenario in cui si evidenzia la negatività del mondo, per contrapporsi alla dannunziana identificazione tra uomo e natura. Un excursus all’interno stesso della poesia, che trova una erosione nel linguaggio ed in esso ravviva quanto si riesca a dire e a parlare dell’uomo, dei suoi sentimenti, dei suoi strani furori e ripensamenti. Il titolo Ossi di seppia allude chiaramente allo scheletro dell'animale marino, che dopo la morte galleggia sulle onde ed è trascinato a riva tra gli scarti, come "inutile maceria". – “Noi non sappiamo quale sortiremo/ domani, oscuro o lieto;/ forse il nostro cammino/ a non tocche radure di addurrà/ dove mormori eterna l’acqua di giovinezza;/ o forse sarà un discendere/ fino al vallo estremo,/ nel buio, perso il ricordo del mattino./ Ancora terre straniere/ forse ci accoglieranno: smarriremo/ la memoria del sole, della mente/ ci cadrà il tintinnare delle rime./ Oh la favola onde s’esprime/ la nostra vita, repente/ ci cangerà nella cupa storia che non si racconta!/ Pur di una cosa ci affidi,/ padre, e questa è: che un poco del tuo dono/ sia passato per sempre nelle sillabe/ che rechiamo con noi, api ronzanti./Lontani andremo e serberemo un’eco/ della tua voce, come si ricorda/ del sole l’erba grigia/ nelle corti scurite, tra le case./ E un giorno queste parole senza rumore/ che teco educammo nutrite/ di stanchezze e di silenzi,/ parranno a un fraterno cuore/ sapide di sale greco.”  – Il controcanto ossessivo, quasi leopardiano, ha una sua fascinazione nella necessità di stringere l’apparizione sfocata del domani, in un gesto panico che ferma il tempo a simbolo della alienazione, unica alternativa all’angoscia pre-esistenziale.

Ma l'impressione di chi legge non è mai l'angoscia e la negatività emotiva: ciò che si percepisce è soprattutto la ricchezza – ancora una volta "musicale" – di cose e di termini. Come scrive Pier Vincenzo Mengaldo: «…l'individuo che non riesce a vivere, a rigore neppure ad essere, proprio per ciò è massimamente capace di vedere e registrare; e la vita che non dà senso globale proprio per ciò è aggredita, non solo catalogata nei suoi aspetti fenomenici con una straordinaria aderenza al pullulare dei dati concreti e una vera e propria furia di nominazione. Ecco allora che contenuti dominati dal senso della negatività e della disgregazione vengono detti in uno stile niente affatto disgregato e smozzicato, anzi quanto mai compatto, assertivo, deciso, insomma eloquente: la compresenza di uno spirito che nega e di un pronuncia fortemente asseverativa e rotonda, che già si era data in altri modi nei padri fondatori quali Leopardi e Baudelaire, torna negli Ossi ed è uno dei motivi primi della loro importanza, permanente.» (P.V. Mengaldo, L'opera in versi di Eugenio Montale, in: Asor Rosa, a cura di, Letteratura italiana, vol. 9, Le opere, Einaudi). Qui la poesia non è descrittiva, ma accenna a presenze che irrompono improvvise, risvegliate dal ricordo, incise da volti ed immagini: tra le allucinanti apparizioni di un universo in crisi che è sempre sul punto di dissolversi, Montale attua una costruzione filosofica di profondo significato fenomenologico ed esistenziale.

“Il viaggio finisce qui:/ nelle cure meschine che dividono/ l’anima che non sa più dare un grido./ Ora i minuti sono eguali e fissi/ come i giri di ruota della pompa./ Un giro: un salir d’acqua che rimbomba./ Un altro, altr’acqua , a tratti un cigolio./ Il viaggio finisce a questa spiaggia/ che tentano gli assidui e lenti flussi./ Nulla disvela se non i pigri fumi/ la marina che tramano di conche/ i soffi leni: ed è raro che appaia/ nella bonaccia muta/ tra l’isole dell’aria migrabonde / la Corsica dorsuta e la Capraia …”

L'apparente distacco di Montale dagli eventi esterni – apparente in quanto egli seppe fare i conti con essi, trasformandoli alla luce delle proprie esigenze – si traduce in questa raccolta in una consapevole e misurata ricostruzione del verso nella sua forma "classica". Montale sembra dirci che una poetica che abbia come oggetto la disgregazione del senso e della vita può servirsi con più utilità, per raggiungere i suoi scopi, di una forma chiara e semplice nella sua rigorosità costruttiva. Attraverso determinate e concrete letture l’opzione stilistica e tematica racconta come in una serie di fotogrammi episodi e modulazioni di persone, affetti, luoghi, nell’eterno fluire di tutte le cose alle quali spesso non prestiamo attenzione. Uno strumento linguistico-formale, un contenitore trasparente (una "scatola di vetro") che permette ai contenuti di esistere con più evidenza. Tutto il contrario dello sperimentalismo delle avanguardie, i cui "effetti speciali" di rottura e di provocazione superano il valore stesso dei contenuti. Ricca per raffinatezza  la semplicità si mostra per un malcelato virtuosismo della musicalità e del ritmo incalzante.

Montale può essere considerato il primo poeta italiano contemporaneo che si è fatto portavoce di un pensiero negativo e la caratteristica della sua poetica è proprio la negatività. In un mondo disumano e arido il poeta può solo dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. I suoi versi, asciutti e concisi, non idillici e poco musicali, corrispondono alla negatività della sua visione della vita. Nel rinnovarsi Montale guarda ad una ritrovata interiorizzazione, penetra nel fluire eterno per tessere agglutinazioni stilistiche degne di agilità e significazioni.