Intervista a Marco Vichi, autore di “Un tipo tranquillo”

di / 15 ottobre 2010

Mario Rossi… sì, proprio lui, il signore più conosciuto della pubblicità diventa il protagonista dell’ultimo romanzo di Marco Vichi: Un tipo tranquillo.

In genere gli autori per caratterizzare un personaggio cercano di catturarne i movimenti, i gesti, i tratti del viso. I migliori riescono addirittura a disegnare un ritratto di parole della loro anima. Marco Vichi parte da un nome così comune per poi arrivare a definire i pensieri segreti di un uomo schivo e silenzioso. Gioca con il lettore, perché gli offre un personaggio che ha ogni giorno vicino, che incontra in autobus o in metropolitana. Il ragionier Rossi rappresenta lo stereotipo del “tipo tranquillo”: è prossimo alla pensione, dopo più di quarant’anni passati dietro la scrivania di un’azienda rispettabile. Ha sessantadue anni, una moglie mite e premurosa, Gisella, due figli grandi. La sua unica passione è quella di ascoltare musica classica prima di cena, chiuso a chiave nello studio. Assomiglia moltissimo al nostro vicino di casa. Una ipotetica figlia adolescente potrebbe incontrarlo andando al parco di pomeriggio mentre lui sosta su una panchina e legge il giornale, oppure potremmo vederlo benissimo infilarsi in un circolo di bocce. Potrebbe essere nostro zio o un amico di famiglia… Potrebbe essere chiunque, in fondo ce ne sono milioni di “tipi tranquilli” così.

Il lettore, andando avanti nella storia, vorrebbe riconoscere il protagonista davanti a sé, magari alzando gli occhi dal libro e fissando incuriosito il tipo entrato nello scompartimento di fronte, sul treno. Le pagine diventano la chiave per farci arrivare ai pensieri segreti di quest’interlocutore immaginario. Ci troviamo a sbirciare dalla serratura e siamo incuriositi dalle confidenze del ragioniere. Conosciamo il suo odio, lo vediamo carico di rancore per tutte le occasioni perdute, poi finite nascoste dietro le timide parvenze di un uomo così tranquillo. Il ragioniere ha i baffi, ma decide all’improvviso di tagliarli per vedere cosa si nasconde dietro. In fondo non si riesce mai a capire perché tutto debba essere così piano e insipido, bisognerebbe dare un taglio al passato e ricominciare. Mario Rossi dentro di sé sente crescere un fuoco cattivo, il fuoco dell’invidia per chi ha una donna giovane e bella al suo fianco e non una donna anziana e triste come sua moglie. Nutre il rancore violento di essere stato infilato in una scatola di pregiudizi: generalizzato, biasimato, compatito. Si sente sommerso, ansioso di svegliarsi dal torpore del suo angolo buio.

Il romanzo inizia così:

“Amore? Ti sei addormentato?”

 Mario aprì gli occhi, allungò una mano e abbassò la musica. Si mise a fissare la porta, un po’ irritato, e sentì bussare di nuovo.

La porta chiusa dello studio del ragioniere definisce il limite delle sue fantasie. Gisella lo aspetta fuori, non è mai stata affascinante, ha la fissazione della religione, conserva nei cassetti i santini e ha un congelatore pieno di sughi fatti in casa. Mario Rossi non riesce a vederla come una moglie premurosa o innamorata, ma la giudica soltanto una compagna fastidiosa. Lei lo chiama. Lui vorrebbe soltanto scappare via.

Pagina dopo pagina, ci si sente stringere intorno al collo il nodo dell’inevitabile, siamo rapiti dall’ansia del ragioniere di “svegliarsi”. Si smarrisce il senso dell’accaduto che viene sostituito con quanto potrebbe invece accadere, in una fitta nebbia di imprevedibilità. Il lettore scivola tra avvenimenti tragici vissuti come una liberazione. Gisella viene di colpo a mancare. Il ragioniere la trova riversa sul pavimento. Non riesce a provare altro che un grande senso di ironia ed eccitazione. Ha inizio così il viaggio distruttivo di un uomo oppresso dalle apparenze, che non aveva mai rischiato prima e che adesso vuole correre tutti i rischi in un colpo solo. Leggere è come navigare in tempesta, naufragare su un’isola desolata, restare imprigionati dietro il miraggio di un nuovo inizio. La sensazione è strana, spiazza, castiga, si percepisce il velo triste della paura della solitudine dipinta negli occhi di un uomo, ma ci travolgono anche le sue fantasie maligne e il peso delle sue colpe. La necessità disperata di una nuova verità si realizza nella menzogna più cupa. Il rimpianto di rinascere, la volontà di cancellare per morire, i precari equilibri abbozzati, nascondono tutti l’ineluttabile bisogno di sprofondare. Si coglie netta l’idea di sostituire con l’eccesso la prevedibilità, ed è come se tutto si riducesse al richiamo primitivo del rischio. Il ragionier Rossi è rapito da un senso di vaporosa ebbrezza che lo porterà lontano, fino alle estreme conseguenze di un sorprendente finale. Un finale affilato più della lama di un coltello.

Sullo sfondo di una storia di alta tensione rimane però la forza e lo splendore della bontà di Gisella. Il viso di “Lella” è quello di un fantasma, un’illusione più vera della realtà stessa, sembra che stia sul punto di staccarsi dai fogli. Pur non essendo presente se non nelle prime pagine, resta fortissima l’immagine di una donna positiva e ingenua, capace di trovare, nelle letture di Simenon e nella letteratura in genere, lo stratagemma per resistere alla mediocrità di un destino così indifferente come quello della normalità. Il ragionier Rossi legge il libro della moglie e ha una scossa:

“Era sbalordito. Aveva vissuto quel romanzo sulla propria pelle e adesso ne aveva nostalgia, anche se leggendo ne aveva sofferto. Era una storia tristissima, che lo aveva portato lontano. A momenti si era addirittura rivisto nel protagonista, provando un leggero senso di vergogna.”

La voce di Lella sembra sussurrare al marito, mentre lui si affanna a mordere le emozioni più forti e a correre veloce, che la letteratura è una possibile risposta. La letteratura è inutile, inutile come il vento che scompiglia i capelli e che ci accarezza sulla spiaggia d’estate. Ma senza quel vento magico non si dispiegherebbero mai le vele della fantasia, né i sogni di un bambino potrebbero mai diventare realtà, proprio perché grazie allo slancio di quel vento volano aerei di carta con dentro parole e idee e forse la parte migliore della nostra esistenza, la certezza e il bisogno di volare leggendo.

Domande all’autore:

Marco Vichi, conosciutissimo per la serie dedicata al Commissario Bordelli e capace di stupire e coinvolgere i lettori con stile e profondità, è il vincitore del premio Scerbanenco 2009 con Morte a Firenze (Guanda). "per aver saputo costruire una storia di ampio respiro e di impegno civile insieme amara e dolente. E aver dato spessore e complessità umana al suo personaggio, grazie ad una scrittura nitida ed efficace".È autore di testi teatrali e di racconti. Un tipo tranquillo è un libro moderno e veloce, che si legge d’un fiato, spiazza e coinvolge, sorprende e cattura. Attraverso alcune domande ecco l’occasione di conoscere meglio il suo pensiero.

Marco Vichi scrive per…

…perché non può farne a meno.

“Da lui ci si aspettava soltanto che continuasse a essere com’era sempre stato, altrimenti… Mario non è da te.” Quanti Mario Rossi hai incontrato nella tua vita? Ce n’è uno in particolare che ha ispirato il tuo ultimo libro?

Non mi è mai capitato di scrivere una storia che avesse come protagonista una persona reale, ma tutte le persone che si incontrano nella vita contribuiscono a formare i personaggi dei romanzi, è inevitabile. Di certo ho incrociato persone che almeno da fuori somigliavano a Mario Rossi, ma non tutti i Mario Rossi sono uguali, visti da vicino. Un tipo tranquillo è la storia di uno di loro.

Cosa hai provato quando hai scritto l’ultima frase dell’ultima pagina di Un tipo tranquillo?

Il solito miscuglio di sollievo, senso di vuoto, soddisfazione, paura di aver scritto una schifezza, leggerezza. Mi sembra di ricordare che ci fossero altre due frasi, dopo l’ultima, devo averle tagliate.

Senza un motivo aprì l’armadio di sua moglie, e subito avvertì nell’aria il suo odore, un misto di farina di castagne e acqua di colonia svaporata.” Quanto è importante il personaggio di “Lella”?

In questo romanzo Lella è vista da Mario Rossi, è la sua visione personale di Lella. È la sua ancora, la sua isola in mezzo al mare, la sua palla al piede e molto altro.

Davvero la lettura di un buon romanzo può rendere la nostra vita migliore?

Credo proprio di sì, anche solo come divertimento. Leggere fa bene a un sacco di cose, ma in cima a tutte c’è la possibilità di vivere più vite. L’immaginazione, se ben incoraggiata, ha una grande potenza.

Leggendoti non si può fare a meno di ricordare la fluidità narrativa di John Fante, il disincanto di Simenon e l’intimità di Camus… È così? Consiglieresti un libro di questi autori che ti ha colpito più degli altri?

È una scelta dolorosa, ma forse mi sento di nominare un’opera di Camus che varrebbe la pena di far leggere nelle scuole: Caligola. Un testo teatrale terribile sul delirio del potere.

C’è un romanzo tra quelli che hai già scritto a cui sei più legato, in cui senti di aver detto davvero tutto, oppure il libro migliore è sempre quello che si sta scrivendo?

Dire tutto è impossibile, e non sarebbe nemmeno divertente. Ogni romanzo, ogni poesia è una scaglia rubata a un’immensa montagna di roccia, anche se nella sua specificità un’opera può avere accenni di perfezione, come l’Infinito o la Commedia.

Nei tuoi libri ci sono pochissimi riferimenti al mondo informatico, è evidente la ricerca di una letteratura più aderente alla vita reale. Pensi che la letteratura sia un modo efficace per difendere il valore della parola scritta dall’aridità di troppa tecnologia?

Non credo che la tecnologia possa togliere qualcosa alla scrittura “sana”. Magari può cambiare la nostra visione delle cose, ma non inquinare il “prodotto” di chi la utilizza. Se Michelangelo vivesse nella nostra epoca, sono certo che per liberare le figure imprigionate nel marmo userebbe i martelli pneumatici più moderni e tecnologici, e il suo genio non ne sarebbe intaccato.

Pensi che il modo di leggere e di scrivere cambierà con l’affermazione ormai imminente del libro digitale, lo giudichi un limite o una nuova opportunità?

Tutto ciò che contribuisce a diffondere libri è benvenuto.

 

 

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