“Vorrei dirti che non eri solo” di Ilaria Cucchi

di / 28 gennaio 2011

«Il libro narra con sofferta lucidità il compimento di un delitto di Stato e i delitti di Stato sono difficili da risolvere. Tutto si confonde in una nebulosa dove ogni protagonista chiamato in causa può invocare giustificazioni malferme e ambigue ragioni».

Vorrei dirti che non eri solo di Ilaria Cucchi (Rizzoli, 2011) descrive una storia umana in cui non c’è quasi nulla che non appaia illogico e tragicamente grottesco, determinata da una colpevole ed efferata indifferenza, soprattutto quando entrano in azione  funzionari e rappresentanti dello Stato, anche quelli che ricoprono le più alte cariche (ministri, sottosegretari…).

Diventa ancora più arduo, allora, riuscire a diradare le nebbie e distinguervi i fatti, quando lo Stato è chiamato a inquisire e giudicare se stesso. E poi c’è l’alibi della burocrazia, che spesso impone dei tempi che la vita non rispetta e che complica tutto, perché  niente è semplice quando si ha a che fare con la burocrazia. Così sembra di assistere, a volte, allo scatenarsi di forze cieche  e oscure di un fatalistico determinismo contro i deboli, gli indifesi, gli ultimi degli ultimi e che, nel caso specifico, hanno spezzato la vita di un giovane uomo, tossicodipendente e detenuto.

Per fortuna nel libro emergono altre forze che rinfrancano e infondono coraggio e speranza. Si tratta di forze sane della società civile o componenti altre del medesimo Stato, che si coagulano nella  battaglia  ingaggiata  con caparbietà e ostinazione da parte di una sorella-protagonista e della sua famiglia. La battaglia della ricerca della verità, che è insieme il trovare nella triste storia un senso inafferrabile, che fosse anche l’unico modo possibile per sopravvivere e reagire. È così che dopo otto mesi dalla tragedia di Stefano Cucchi cambiano i capi di imputazione e vengono individuati i presunti responsabili del delitto: ben tredici tra guardie carcerarie, medici, infermieri e qualche dirigente.

La struttura del libro si sviluppa su questi temi, ma in parallelo descrive la storia di Stefano, la vittima sacrificale, essere fragile e perciò spesso soggetto a debolezze e a cadute, sorretto però dall’affetto di una famiglia solida, fondata su sani principi morali e unita da un affetto sicuro e senza incrinature.

Vi sono altri fili che si dipanano nella tragica storia: la scatola con gli effetti personali dell’accusato; la lettera, scritta da Stefano prima di morire; la busta di cartone, trovata nel suo appartamento con il materiale e gli strumenti dello “spacciatore”. Tre realtà che rappresentano altrettanti flash sull’intera  storia, che si snoda intorno alla vittima e alla sua famiglia.

Eppure può sembrare strano (solo apparentemente) che Stefano nei tragici momenti di abbandono, trascorsi nei giorni che precedettero la sua fine tra carcere, ospedale, pronto soccorso, abbia sentito il bisogno di chiedere aiuto a persone estranee alla sua famiglia naturale, mentre  questa, di converso,  cercava di mettersi in contatto con lui per rendersi conto delle sue condizioni e per aiutarlo. Da questo paradossale equivoco nasce il titolo del libro: Vorrei dirti che non eri solo. Grido postumo di una sorella (e dei suoi genitori) che dovrebbe servire a espiare una colpa mai commessa, ma che forse angustiava Stefano, giacente solo, in balia delle strutture carcerarie ed ospedaliere.

Se si considera,  infine, che nel solo 2009 sono ben 148 i morti nelle carceri italiane per cause incerte o sconosciute, si può concludere  che la narrazione della tragica storia di Stefano Cucchi diventa esemplare e la sua vicenda, con tutto ciò che l’accompagna,  può servire, anzi deve servire,  a riscattare tutte le altre tragiche storie similari del passato.

P.S.
Nei giorni scorsi (lunedì 25 gennaio 2011), dopo poco più di sette mesi dal rinvio a giudizio delle tredici persone, ha avuto luogo l’udienza preliminare. Il Gup ha emesso, con rito abbreviato, la prima sentenza di condanna  a due anni di reclusione contro un funzionario del Dap. Il processo  contro gli altri dodici imputati inizierà il 24 marzo prossimo davanti alla terza corte d’assise di Roma. Si tratta di un primo risultato di rilievo. La battaglia però non è finita. Sarà necessario, dunque, non abbassare la guardia, non solo per fare piena luce su questa tragedia, ma anche per evitare che in futuro altre storie del genere si riproducano.

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