“Il sogno del calciatore adolescente” di Juan Jesús Armas Marcelo

di / 27 febbraio 2011

Sono rimasto piacevolmente sorpreso da “Il sogno del calciatore adolescente”, un vero e proprio inno al calcio che non c’è più o meglio un’apoteosi verso i valori di uno sport che ancora oggi si potrebbero trasmettere ai giovani.

Definire il libro di Marcelo un libro sul calcio sarebbe limitativo, perché si tratta di un libro sui sogni, su quei sogni che non vogliono uscire dalla nostra testa neanche in età adulta.

Una scrittura ossessiva, ridondante, volutamente reiterata lascia spazi qua e la a momenti di poesia pura, ad un linguaggio più che mai consapevole della propria forza, ad ampi sentieri di grande letteratura di cui c’eravamo dimenticati l’esistenza.

La Spagna di cui parla l’autore non è quella imbattibile di questi anni ma quella altrettanto forte ma paradossale degli anni passati (fortissima nei club, inconcludente con le nazionali). La Spagna del Real Madrid e delle Coppe dei Campioni. Una Spagna che, con Franco e tutto il suo apparato di regime, voleva provare a mostrare la sua grandezza attraverso un gioco, il calcio appunto.

Il grande Real Madrid e, come seconda faccia della stessa medaglia, la piccola Union Deportiva Las Palmas, club delle isole canarie, che “quando eravamo i migliori” creò scompiglio nella liga spagnola sfiorando uno scudetto e mettendo a punto una vera e propria fucina di talenti.

E talento era il narratore-protagonista, l’unico di una generazione isolana “fenomenale” a sfiorare il sogno di giocare nello stadio intitolato al mito di Santiago Bernabeu indossando quella maglietta bianca che ancora oggi, in tempi di Mourinho, regala tanto fascino. Una generazione i cui “figli” avrebbe4o dovuto affiancare Di Stefano o Puskas nell’olimpo degli “eletti”.

Gli anni cinquanta e sessanta spiegati da un pallone da calcio, sport come “unica ragione di vita”, perfetto collante tra adolescenza ed età adulta.

Il calcio raccontato solo come gli iberici e i sudamericani sanno fare (ad eccezione forse di alcuni inglesi): il calcio di rigore o il provino all’Atletico Madrid dell’amico-compagno Pancho Gomez sono pagine indelebili, una dichiarazione d’amore alla scrittura prima ancora che a questo sport che tanto amiamo e odiamo al tempo stesso.

Marcelo detta un’estetica del calcio con canoni tutti suoi ma condivisibili. Sfiora il realismo magico per perdersi tra il dettame giornalistico e il diario adolescenziale. Sussurra all’orecchio per poi gridare, accenna per amplificare, passa dalla narrazione alla patologia irrazionale, viscerale.

Il passato e il futuro si ricompongono a piacimento perché il presente è troppo flebile per essere raccontato. Perché il presente è della stessa materia del sogno. Come un calcio di rigore, come l’esistenza che ci rifiutiamo di afferrare.

Poi fortunatamente arriva Butragueno, il nuovo idolo pronto a riaccendere entusiasmo, neanche fosse un inconsapevole elargitore di linfa vitale e si ricomincia a sognare.

E chissà se in questa estetica del calcio il campione di oggi, quel piccolo Messi, che accende la fantasia di milioni di ragazzini, troverebbe spazio. Mi piacerebbe credere di sì.

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