“Mi ricordo Cézanne” di Émile Bernard

di / 24 novembre 2011

Ci siamo abituati bene, possiamo dirlo. Da un po’ di anni a questa parte se letteratura e arti figurative vanno a braccetto, lo dobbiamo senza dubbio anche a Skira, una casa editrice che sta facendo, con questo gioco duale, il suo cavallo di battaglia.

Ci vuole coraggio, ma in fondo neanche troppo, a ripubblicare il pamphlet del pittore Émile Bernard, Mi ricordo Cézanne, sul suo incontro con il ben più celebre (e burbero) collega.

Sì è vero, l’occasione è ghiotta visto che l’uscita del libro coincide con la mostra “Cézanne e les atéliers du Midi” che si tiene al Palazzo Reale della cosmopolita Milano fino a febbraio del prossimo anno (e che mi dicono sia tra le più interessanti degli ultimi anni) ma proporre questo testo è una scelta tutt’altro che scontata.

Ho un ricordo in testa ed è quello di un vecchio professore d’arte che mi faceva vedere sempre con orgoglio una copia di questo volumetto. Non lo posso dire con certezza ma credo che si trattasse di una delle primissime edizioni, quelle con la carta giallina, squisitamente novecentesche. Sicuro (a meno di smentite…) è che a memoria non ci sono altre edizioni a cavallo del Duemila (di certo non così belle e ben curate).

 Quando il volume mi è arrivato tra le mani ho pensato alle spiegazioni che il professore mi fece di Cézanne. Era un personaggio che si prolungava sui dettagli, poco sulla sostanza. A volte persino sui pettegolezzi. Difficilmente adoperava i testi scolastici ma partiva per strade tutte sue, tirando fuori questi testi per noi sempre troppo vecchi, troppo polverosi.

Però quel racconto era interessante: o meglio ad essere interessante era Cézanne. Un “bel tipo” quel pittore, pazzo al punto giusto.

Un fascino incredibile che mi sono portato dentro per anni: magari non conoscevo i nomi dei suoi quadri ma sapevo delle parole dette, delle bestemmie, della corporatura, delle idee, del disinteresse per il profitto, “arte per l’arte” e via dicendo.

Mi ha fatto piacere rituffarmi nella Aix-en-Provence di inizio secolo. Uno di fronte all’altro i due pittori (Bernard trascorrerà un mese ospite del suo venerato maestro Paul Cézanne) appaiono come in una scena di teatro, sono visibili, caratterizzati, persino giudicabili.

Il fascino bohémien di Cézanne supera di gran lunga il topos del classico pittore provenzale. Un fascino di genuina (e naturale) trasandatezza accompagna la nostra partecipazione emotiva nell’animo e nella testa dell’uomo, prima ancora dell’artista. E così ne comprendiamo le idee, la sfera concettuali, i “dove” e i “perché” della pittura.

Alla prosa si aggiunge un intenso epistolario tra i due artisti, capace di cogliere gli aspetti più intimi, quelli umani e quelli legati alla “vicenda artistica”.

Prima di arrivare allo struggente “addio alla vita”, si raggiunge la forte amicizia, la stima, la confidenza.

Da persona che vive con la scrittura non condivido l’idea del primato della pittura sulla scrittura in quanto «il letterato si esprime con della astrazioni, mentre il pittore, mediante il disegno e il colore, rende concrete le sue sensazioni e percezioni»ma ne concepisco le ragioni.

Ma c’è tutto il resto. Ed è moltissimo. Ed è così tanto che alla morte del maestro e amico, Bernard lo scorge ovunque, in ogni cosa: «Forse viene, lo vedo salire il pendio, il mantello gli fa due ali nel […] maestrale che mi strappa con la sua furia questo ricordo».

 

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