“Thom Pain” di Will Eno

di / 12 dicembre 2011

Chi è Thom Pain? Cosa fa per vivere e perché sta occupando indebitamente lo spazio scenico? È un attore, un politico, un avvocato o forse un giornalista? Perché vuole a tutti i costi raccontarci qualcosa? E soprattutto, cosa ci sta raccontando? La sua vita o quella di qualcun’ altro?
Rimane lì, al buio, fermo. Cerca parole, significati in un dizionario. Vuole accendersi una sigaretta, ma non ci riesce. Poi, di colpo, un cono di luce si irradia intorno a lui e lo avvolge, fitto. Allora comincia a raccontare, Thom Pain, a raccontarsi. Evoca l’immagine di un bambino e del suo cane, intenti a giocare dopo un acquazzone, e nella lirica costruzione di questo piccolo momento non usa pudore, si serve di ogni cliché retorico, solo per invitarci, al culmine del percorso emotivo della storia, a spezzargli idealmente le gambe con una mazza. Ecco, Thom Pain si è presentato. Eppure, quella storia gli lascia un velo di malinconia nello sguardo, nella voce a tratti spezzata, nei gesti. Ma poi si ricompone come attraversato da un lampo, un guizzo, ed eccolo pronto ad adescare una ragazza seduta tra il pubblico, in prima fila. Fa il piacione, diventa cinico e cattivo investendo il pubblico con una valanga di parole e gesti, convulsi. Confessa, ispirato, la stravagante storia d’amore di cui è protagonista, e fa giochi di prestigio. E va avanti così, per novanta minuti, intensi, irrefrenabili, passando da un discorso all’altro da un’ azione all’altra, senza far annoiare mai il pubblico che lo ascolta, ipnotizzato, affamato di sapere “chi è” davvero Thom Pain e fin dove vuole spingersi.

Scritto da Will Eno e finalista del Premio Pulitzer 2005, Thom Pain è un testo irriverente e apparentemente privo di alcuna contingente urgenza. Non c’è una storia: il suo protagonista alterna fasi di bulimica e insensata eloquenza a fasi di estatica contemplazione, ad altre ancora di sordida chiusura in se stesso. Thom Pain racchiude dentro un dolore atavico: è qualcosa d’inesprimibile, di irrazionale, di paralizzante, un dolore a cui non si sa dare un nome ma che è quello che ciascun essere umano porta irrimediabilmente dentro. L’unica arma che ha per ucciderlo, per sfatarlo è il cinismo e la sfrontata sincerità con cui si racconta agli altri, non curante del giudizio che potrebbe generare in chi l’ascolta. L’umorismo di cui si fa scudo rammenta quello di Allen, tutto basato sulla giustapposizione di temi alti e conclusioni irrimediabilmente secolari, sulla costruzione di un epos magniloquente al cui termine ci attende come anticlimax un finale effimero come il fuoco di un fiammifero.

Elio Germano, reduce dai meritati successi cinematografici, convince innegabilmente anche sulla scena teatrale non tradendo le aspettative dei suoi innumerevoli fan. Regista essenziale e interprete straordinario di questa piece, dona grazia estrema e voce ardente al suo Thom Pain: poche volte a teatro capita di sperimentare una sintonia così intensa fra interprete e testo, fra attore e personaggio, da far dimenticare allo spettatore l’esistenza di questa dualità. Succede in questo spettacolo: sul palco si vede solo Thom Pain e costa fatica ricordarsi ogni volta che c’è anche Elio Germano. Ma è proprio lui l’artefice di questo incantesimo.


Thom Pain (basato sul niente)
di Will Eno
con Elio Germano

Roma, Teatro Quirinetta, fino al 18 dicembre

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