“Il sorriso di Godot” di Stefano Giovinazzo

di / 15 marzo 2012

Quando Stefano Giovinazzo mi ha dato il suo libro e mi ha chiesto di presentarglielo la prima cosa che ho letto è il titolo: Il sorriso di Godot. Volevo pensare a Beckett ma il pensiero si spingeva più vicino, agli anni sessanta (settanta?), a Claudio Lolli e a quella sua bellissima canzone.
Ma l’autore di “Ho visto anche degli zingari felici” è lontano anni luce dalla poetica di Stefano. Per stile, tradizione e per tanti, tantissimi, altri motivi.
Cercavo di trovare qualcosa che li accomunasse. Ma niente, non mi veniva in mente nulla.
Ciò che avevo tra le mani – una nuova raccolta di poesia pubblicata da Edilet alla fine del 2011 – era, ancora una volta, un testamento di immagini e parole con la funzione di “libro aperto” sull’animo dell’autore.
Perché sta sorridendo Godot? È per caso giunto a destinazione?
Leggo e cerco di capire. L’approccio lirico si tramuta. È un processo lento, sottile. Pian piano si traccia un disegno visibile, palpabile, definitivo. Un solco sulla superficie vischiosa della quotidianità. Sprazzi di colore si moltiplicano fino a diffondersi nel cuore e negli occhi del lettore, dimostrando di fatto la capacità indiscutibile di dire molto con le parole più semplici.
Nella ricerca poetica dell’autore, che rimanda a una tradizione classica che fa l’occhietto alla natura e topoi tipici della nostra letteratura, c’è un forte desiderio di rimettersi in gioco, sovrapponendo costantemente figure retoriche e intuizioni linguistiche.
C’è qualche ingenuità, certo, e anche qualche verso imperfetto ma il tutto sembra funzionare bene, trasformando la semplicità del “discorso” in una volontaria estroflessione dell’io, capace di riprodurre una sensazione al tempo stesso nostalgica e vitalistica.
Si attende. Fatto normale, vista la dichiarazione d’intenti del titolo.
C’è dolore e persino qualche rimorso ma anche il desiderio, e l’impegno, di guardare oltre, “di rinascere dal principio”.
La spinta mortifera del tempo, della pioggia incessante, dei dirompenti anni ottanta, dei cigolii e dei rumori non portano a un nichilismo vuoto a se stesso ma a un richiamo alla rinascita (ancora una volta continua) e alla libertà.
Giovinazzo “ha deciso di crescere”: l’attesa dell’opera di Beckett, si produce nello spettacolo del “sorriso” che è la “pienezza indecifrabile della vita”.
Ed è qui, nell’humus che chiamiamo vita, che intravediamo Godot come se rinascesse dal nulla, per essere nuovamente nulla. Ed è qui che ripenso a Claudio Lolli e mi torna in mente che il protagonista della canzone continua ad attendere anche dopo la morte. Continua ad attendere. E a sorridere.
Perché solo il sorriso può salvarci.


(Stefano Giovinazzo, Il sorriso di Godot, Edilet, 2011, pp. 104, euro 10)

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