“Rebetiko Gymnastas” di Vinicio Capossela

di / 18 luglio 2012

Passare un anno nel ventre di una balena a ubriacarsi di rum, addormentarsi sognando le Pleiadi e risvegliarsi in Grecia, con i piedi indorati di sabbia e lo sguardo che si allontana verso tre strisce di terra scivolate nel mare a formare il tridente di Poseidone o un candelabro che illumina tutto l’Egeo.

È successo a Vinicio Capossela, poeta e ammiraglio del nostro cantautorato che, ultimata con Marinai, Profeti e Balene (La cupa – Warner, 2011) la sua “Marina Commedia” e riposto nella stiva il cappellaccio di Achab, si è rimboccato i pantaloni fino alle ginocchia e con una paglietta in testa si è allontanato dalle profondità mitiche degli abissi fino a raggiungere le panche della prima taverna, canticchiando le sue vecchie canzoni. Lì, da un fortunato incontro con Ntinos Chatziiordanou, Vassilis Massalas, Socratis Ganiaris e Manolis Pappos, musicisti greci di rebetiko con i loro bravi bouzouki in braccio e cent’anni di folklore da raccontare, è nato Rebetiko Gymnastas. Un impasto di greca meraviglia, dalla prima all’ultima traccia, registrato ad Atene negli studi Sierra e prodotto da La Cupa-Warner.

Il nome del tour che partirà il 19 Luglio da Tarvisio (UD), Rebetiko Gymnastas – Esercizi allo scoperto, racchiude e svela lo spirito di questo progetto tutto mediterraneo che nasce dalla volontà di «fare un esercizio di ribellione e di identità», come dichiara lo stesso Capossela, «per ricordarci che siamo originali: che abbiamo un’origine».

Il percorso di ricerca sull’uomo e sulla storia della sua anima millenaria, portato avanti attraverso il mito e la letteratura in Marinai, Profeti e Balene, opera “ciclopedica” di straordinario lirismo, si veste con Rebetiko Gymnastas di un abito sicuramente più popolare, ma ugualmente affascinante e ricco di storia e di spunti per chiunque voglia prendervi parte.

Il rebetiko è, infatti, un genere musicale greco di carattere folkloristico, che esce allo scoperto negli anni ’30 del Novecento dopo aver a lungo risuonato nelle taverne e nelle prigioni dei porti del Pireo e della penisola calcidica, tra un bicchiere e l’altro di ouzoEra la musica del popolo, di chi era povero e col povero si stringeva, danzando. «È musica che viene dal basso e che si condivide a tavola, come un’eucarestia», ci suggerisce ancora Capossela.

Le caratteristiche della musica rebetika sono facilmente riconoscibili, soprattutto negli inediti: già dai primi battiti di “Abbandonato” ci sentiamo in terrazza, sul mare, a pranzo, e iniziamo a godere delle corde pizzicate che, alternate a percussioni decise, ci accompagneranno per tutto l’ascolto. “Rebetiko Mou”, seconda traccia, ci porta subito al cuore del disco con un ringraziamento alla Grecia che non può attendere il finale; la terra rebetika è ignota, ma il senso di appartenenza provato da chi scrive è ancestrale al punto che in quella terra vorrebbe morirci, «ebbro fino agli occhi», tra gente straniera, tradendo la birra di Hannover, città in cui Vinicio è nato nel 1965, per la retsina, tipico vino bianco greco («Baciami una volta / e lasciami morire / in mezzo a chi non sa di me. / Nelle braccia della notte / cado senza mani a te»).

“Misirlou” rivisita una canzone popolare greca già arrivata al successo grazie alla versione per chitarra elettrica realizzata da Dick Dale nel 1960 e colonna sonora del film Pulp Fiction, mentre “Cancion de las simplas cosas”, che chiude la serie di inediti, è una reinterpretazione esemplare del classico di Mercedes Sosa.

La voce si distende calma su un’unica linea melodica, δρόμος – dròmos, in cui si fondono sapientemente armonie orientali ed europee; questa costituisce un blocco più o meno fisso che si ripete per tutto il pezzo, ma viene variamente elaborato nei momenti più intensi.

È applicando questa linea guida principale che Capossela, assistito dal prezioso aiuto dei compagni greci, ha rielaborato gli altri nove pezzi: uno del russo Vladimir Vitsosky, “Gymnastika”, e otto suoi. Dall’album Camera a sud (1994) ritroviamo “Non è l’amore che va via”, in una passionalissima versione sirtaki da tramonto su Creta; da Il ballo di San Vito (1996) arrivano l’infiammata “Contrada Chiavicone” e “Morna”, che anche in versione rebetika conserva i suoi accenti argentini e lo stesso fortissimo impatto emotivo grazie alle sue parole incatenate di poesia («La notte che viene è un’orchestra/di lucciole e ginestra/ tra echi di brindisi e fuochi / vedovo di te»); si aggiungono i quattro capisaldi di Canzoni a manovella (2000), a detta di molti il migliore album dell’ammiraglio: “Con una rosa”, “Signora Luna”, “Contratto per Karelias” e “Corre il soldato”, i cui ritmi rebetici, già presenti nella versione originale, sono qui ancora più incalzanti e travolgenti; conclude questo nuovo viaggio “Scivola vai via”, che, tratto dal primo album, All’una e trentacinque circa (1990), è sì un pezzo che preferiamo decisamente nell’originale versione blues waitsiana, ma a cui è affidato il compito di legare in un modo comunque efficace le scoperte e i colori nuovi a tutta l’opera di Capossela, fin dalla sua prima brillante prova.

Vinicio si sveste e si riveste, si trasforma, e lo fa «per debito nei confronti della Grecia, che ha donato al mondo oltre alla civiltà anche una delle più straordinarie musiche urbane del mondo».

«La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli./ Più leggero d’un sughero ho danzato tra i flutti». (“Il battello ebbro”, Arthur Rimbaud, 1871)

Capossela suonerà in concerto al tramonto del prossimo 26 Luglio presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma.

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