“Requiem del Dodo” di Arianna Gasbarro

di / 2 ottobre 2012

Arianna Gasbarro è una trentaduenne romana molto consapevole della situazione della sua generazione ma capace di intraprendere scelte che hanno il solo scopo di migliorare la sua autostima e la sua dignità ma non certo il proprio conto in banca, aspetto banale e materiale ma per nulla trascurabile, ahimè, per tirare a campare.

Alla frustrazione, rabbia e disperazione diffusi ha deciso però, a un certo punto, di dire basta e ha preso una decisione veramente coraggiosa di questi tempi. Ha rinunciato a un lavoro che le offriva sì stabilità di occupazione e reddito e che però consisteva nel ripetere ogni ora, giorno, settimana, per anni e anni, la stessa mansione sotto il controllo di un capo, e ha optato per un lavoro che, pur senza dispensare certezze, le permettesse di esercitare la propria intelligenza, autonomia, immaginazione, libertà di muoversi e inventare, ossia scrivere storie. Lo racconta nel primo romanzo, in parte autobiografico, Alice in gabbia (Miraggi Edizioni, 2010).

Se il secondo romanzo rappresenta soventemente un banco di prova per uno scrittore emergente, con Requiem del Dodo Arianna Gasbarro è alla sua prova del nove.

Mattia è alla ricerca dell’ispirazione per scrivere la sceneggiatura del suo primo film che dovrà essere, nella sua aspirazione, il primo di una lunga serie di successi. Nel frattempo si deve accontentare di girare a Londra un documentario naturalistico per bambini al Natural History Museum, tra polvere e animali preistorici. Qui sul set incontra una sua ex compagna di scuola. Mia è una ragazza particolare, dai grandi occhi castani e dal caschetto nero arruffato. Oltre a fare comparse in filmati culturali vestita da dodo, un uccello ormai estinto, fa la “tomba-sitter”, ovvero si occupa di portare fiori ai cari di chi non trova nemmeno il tempo di onorare i propri morti. Mia ama i cimiteri della capitale inglese, li considera speciali.

Un pomeriggio anche Mattia verrà trascinato a «fare quattro salti fra le lapidi» sotto la livida luce londinese. Questo incontro ravvicinato con la morte lo porterà a scontrarsi interiormente con il dolore ancora non elaborato per la perdita del suo migliore amico, alla ricerca di una spiegazione da dare all’insensatezza del gesto inconsulto di un pazzo. Oscar ora è carne in putrefazione, cibo per vermi: «Non siamo altro che carne e sangue in corsa verso l’oblio».

Dimenticarlo però sarebbe come tradirlo. Grazie a Mia e alle sue bizzarre teorie sui flussi energetici, Mattia arriverà a una conclusione che gli farà rendere più accettabile la morte e con essa la vita: «Se il corpo è una fucina che consuma e produce energia, la morte allora è dispersione e discioglimento di elettroni. La decomposizione è un lento lunghissimo orgasmo con la terra, un rilascio di tensione continua delle membra che si sciolgono nelle zolle».

Le radici di questa trascendente fatalità rimangono nascoste come anche la vera identità di Mia. L’accettazione della morte deve arrendersi al fatto che non è possibile comprenderla totalmente. Meglio allora immaginarla come un tripudio di molecole che vanno a fondersi e a dare energia ad altri esseri.

Requiem del Dodo sembra più una sceneggiatura che un romanzo, scritta in uno stile piano, scorrevole, ma non superficiale come un’acqua piena di sali che penetra in noi, che siamo fatti di polvere e che polvere torneremo, arricchendoci.

 

(Arianna Gasbarro, Requiem del Dodo, Miraggi Edizioni, 2012, pp. 112, euro 12)

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