“Wassily Kandinsky. Dalla Russia all’Europa” al Palazzo Blu di Pisa

di / 18 dicembre 2012

«Il nome Der Blaue Reiter lo trovammo davanti ad una tazza di caffè sotto il pergolato di Sindelsdorf: a tutti e due piaceva il blu. A Marc i cavalli, a me i cavalieri».
La passione di Kandinsky per l’immagine medievale e fiabesca del cavaliere e l’inclinazione di Marc per la bellezza estetica della figura del cavallo, unite all’importanza che riveste il colore – quello azzurro si riferisce alla spiritualità – sono gli elementi che ispirano i due artisti nel dare il nome al movimento da loro fondato, “Il Cavaliere Azzurro”, appunto. Siamo negli anni 1911-12 e in questo periodo Kandinsky (Mosca 1866-Neully-sur-Seine 1944) è già approdato a una nuova pittura, quell’astrazione esito dell’armonizzazione di forme e colori che è nota come la serie delle “Improvvisazioni”. L’utilizzo libero del colore è qualcosa che approfondisce poco prima, durante il soggiorno presso un paese delle Alpi bavaresi, Murnau, grazie principalmente all’influenza del pittore Jawlenskij, importante esponente dell’avanguardia di primo Novecento: “Murnau (paesaggio d’estate)” del 1909 mostra chiaramente il ruolo chiave assunto dal colore utilizzato in modo espressionista; nel dipinto, infatti, i toni accesi con i quali viene raffigurato lo scenario montuoso si uniscono a una resa sintetica propria della nuova arte affermatasi nell’occidente europeo.

 


 

Inizia il distacco da riferimenti naturalistici: le “Improvvisazioni” sono appunto espressione della natura interiore, ben diverse da altre serie quali le “Impressioni”, che derivano invece dalla realtà esterna. Ma se l’artista russo prende la via dell’astrazione, divenendone uno degli esponenti più illustri, vi è un legame che lo tiene sempre stretto alla tradizione e alla cultura popolare. Anzi, le riflessioni sulla composizione del quadro provengono proprio da questo sostrato, la posizione teorica espressa ne “Lo spirituale nell’arte” deve, infatti, molto alla tradizione letteraria e alla mistica russa.

La mostra Wassily Kandinsky. Dalla Russia all’Europa, ospitata presso la sede di Palazzo Blu a Pisa fino al 3 febbraio 2013, si concentra esattamente su questo aspetto dell’arte del pittore. È un Kandinsky meno noto: sono esposte opere riconducibili al ventennio 1901-1922 e vi è un confronto anche con altri esponenti dell’avanguardia tedesca e russa e con manufatti dell’arte popolare del suo paese d’origine. Una rassegna che comprende, dunque, diverse sezioni: vi è una parte dedicata alla tradizione delle fiabe che tanto hanno influenzato il pittore fin da piccolo, in cui sono presenti opere di Bilibin, Burliuk, Stelletsky che riconducono a questo tema; sono poi esposti reperti del folklore e della cultura contadina russa che si collegano agli studi e agli interessi etnografici e antropologici di Kandinsky, fortemente impressionato dall’arte popolare: «Non dimenticherò mai», scrive, «le grandi case di legno ricoperte di incisioni […]. Esse m’insegnarono a muovermi nel quadro, a vivere in esso». Una parte è poi dedicata ai contatti con i movimenti europei, dal simbolismo della Secessione di Monaco a quelli parigini: sono inseriti confronti, dunque, con altri artisti quali Gabriele Munter, Alexej Jawlensky, Marianne Werefkin e Arnold Schönberg, rivoluzionario inventore della dodecafonia, entrato nelle fila del “Cavaliere Azzurro” per la grande attenzione che il movimento rivolgeva alla ricerca di corrispondenze tra linguaggio musicale e pittorico.

Risulta interessante, in effetti, la proposta di voler indagare le fondamenta, le radici del lavoro dell’artista: l’intento è quello di scoprire l’elemento costitutivo del suo operare. È una scelta del curatore, Eugenia Petrova, la quale propone un certo tipo di approccio: l’approfondimento. È fuorviante, però, definirla propriamente una mostra su Kandinsky, almeno non solo, soprattutto la prima parte; si potrebbe dire che si tratta di un’esposizione che si concentra su una temperie artistica e culturale, quella russa tradizionale e quella d’avanguardia europea, soprattutto tedesca, della quale egli ha fatto parte.
 


 

Vi sono, comunque, dei momenti di maggiore focalizzazione sull’artista, su quelle opere che vedono le forme farsi astratte, tra cui “Improvvisazione 11” o “Composizione su bianco”, su quelle realizzate ad olio su vetro, come “Nuvola dorata” e “Amazzone sui monti”, colorati dipinti fiabeschi del 1918, e sulla fase della partecipazione al Bauhaus presso cui è chiamato a insegnare dal fondatore Walter Gropius nel 1919 fino al 1933 (anno in cui il Nazismo ne decreta la chiusura). Partecipa a tutte le fasi di vita della scuola, quelle di Weimar, Dessau e Berlino. La mostra, però, sembra più sussurrare che esclamare questa centrale esperienza, momento di formazione e fase davvero importante a livello di definizione teorica e pratica: insegnando, Kandinsky riflette e questo studio lo conduce a concentrarsi sempre più sugli elementi fondamentali della forma fino all’elaborazione di un altro scritto decisivo per l’arte contemporanea, «Punto, linea, superficie». L’esperienza al Bauhaus è testimoniata da riferimenti al suo corso di pittura murale e da lavori quali una tazzina in ceramica, esempio di una dimensione produttiva che riconduce ad anni antecedenti, quando, a Murnau, aveva dedicato attenzione all’artigianato locale e alle arti applicate.

La mostra si conclude con una delle icone del Bauhaus, la sedia progettata da Marcel Breuer, chiamata appunto “Wassily”. La posizione di questo oggetto di design è particolare: ha il ruolo di chiudere questa esposizione, quasi come a definire un confine.


Verrebbe quasi da sedersi e stare lì in attesa: in attesa di capire cosa hanno lasciato tutti gli stimoli disseminati lungo il percorso, in attesa di qualcosa che viene dopo, ma che in mostra non c’è. Questa rassegna, si è detto, è incentrata su un certo periodo dell’arte kandinskyana e non si può dunque dire che sia incompleta solo perché non riporti l’intera opera del maestro russo. Tuttavia, si ha comunque la percezione che dopo quella sedia si debba dispiegare altro, una sensazione, questa, che all’inizio lascia insoddisfatti. Una volta interiorizzata e metabolizzata, però, è vero anche che quel retrogusto un po’ amaro, lascia emergere quel senso di sospensione che rende il fatto atteso ancor più grande nella mente, ancor più imponente. Forse l’obiettivo era quello. Forse.

 

Wassily Kandinsky. Dalla Russia all’Europa
Dal 13 ottobre 2012 al 3 febbraio 2013 al Palazzo Blu, Pisa.

Per ulteriori informazioni:
http://www.palazzoblu.org/index.php?id=771&lang=it

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