“Tom Waits, Il fantasma del sabato sera” di Paul Maher Jr.

di / 10 gennaio 2013

Più che Il fantasma del sabato sera, Tom Waits è la voce e l’anima degli emarginati. Dei reietti, dei disperati, dei bizzarri. Dalle prostitute ai folli, dagli alcolizzati ai senzatetto. Rain Dogs, insomma, usando l’espressione da lui stesso coniata per descrivere le persone senza una casa, pronte a dormire nei pianerottoli dei palazzi durante i temporali. E non solo. Proprio per capire meglio come abbia fatto l’autore di Pomona a plasmare queste storie, il libro curato da Paul Maher Jr. – tradotto in italiano da Claudia Durastanti – è una guida imprescindibile per chi vuole navigare nello sterminato oceano della musica di Waits. Il volume è infatti un’ampia raccolta di numerose interviste lasciate dall’artista negli anni e divise per album. È come scoprire la biografia di Waits ascoltandola dalla sua stessa voce. Una voce così unica e atipica che viene più volte trattata nel libro e che trova nell’espressione di un bambino la descrizione migliore: «La tua voce è un incrocio tra un petardo e un clown».

E così, seguendo la cadenza cronologica discografica, si conoscono le tappe e gli episodi più significativi del musicista. La prima parte – che tratta da Closing Time a One from the Heart – è sicuramente incentrata sull’adolescenza e su come l’artista sia riuscito a raggiungere la possibilità di incidere un disco. Ovvio, non bisogna aspettarsi da Tom Waits la solita storiella lineare, narrata senza alcun intoppo: è lampante sin dalle prime battute come il protagonista sia riluttante – molto spesso indisposto – nel dare interviste e nel raccontare la sua vita, aggirando il tutto prendendosi gioco dell’intervistatore con aneddoti strampalati e fuorvianti. Ricordiamoci che lui stesso una volta ha cantato: «Ti dirò tutti i miei segreti ma mentirò sul mio passato».

Quello di cui siamo certi sono la presenza del padre insegnante di spagnolo – e con un particolare che Waits dirà solo in tempi recenti –, gli svariati lavori prima di prendere in mano seriamente la carriera musicale, gli sfiancanti viaggi in pullman per raggiungere i primi palchi, la vocazione per le stanze d’albergo squallide, i bar malfamati e per il jazz, genere che segna il suo stile fino all’epico Swordfishtrombones, disco che apre la seconda parte del libro e della sua parabola artistica. Una seconda sezione davvero interessante, sia per i dischi – oltre al già citato capolavoro dell’83 come non menzionare l’altrettanto mitico Rain dogs di due anni dopo ? –, sia per la proficua collaborazione con il mondo del cinema, vissuta spalla spalla con personaggi che vanno da Francis Ford Coppola, all’underground per eccellenza Jim Jarmush. Per non citare la parte biografica, con l’incontro più importante nella vita di Waits: la moglie Kathleen Brennan. Fino alla terza e ultima parte del volume, quella del Waits ormai celebrato e osannato, che ricorda con simpatia gli estenuanti tour che doveva subire in giovinezza. Sicuramente il disco più importante del periodo è il grande Mule Variations ( il cui titolo nasce da un divertente battibecco tra coniugi): esordio con una casa discografica indipendente che venderà un milione di copie e gli farà vincere il secondo Emmy.

Insomma, meglio non svelare troppo: anche perché a farlo ci pensa Tom Waits. Con la sua voce, le sue parole e la sua musica. E chiedere di più sarebbe davvero troppo.


(Paul Maher Jr., Tom Waits, Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e sulla musica, Minimum Fax, 2012, pp. 409, euro 16)

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